"Non sono un tipo fasullo. Le Iene? Facciamo varietà"

Parla il più spietato degli inviati di Italia 1: "Nessuna doppia morale Le precauzioni per le interviste servono per proteggermi dai tranelli"

"Non sono un tipo fasullo. Le Iene? Facciamo varietà"

nostro inviato a Bologna

«Allora, accendo il registratore?». «Faccia un po’ come le pare, nun me ne frega niente». Con Enrico Lucci ci incontriamo a metà strada tra Milano e Roma, in un hotel di Bologna. Dopo l’articolo in cui raccontavo la delusione per aver scoperto che la Iena, giustiziera con le sue vittime, si trincera dietro molte precauzioni per farsi intervistare, Lucci ha scritto una lettera - pubblicata ieri - in cui faceva autocritica e abbassava le pretese. Dunque, eccoci qua: per capire la «doppia morale della Iena», «spietata con tutti e garantista con se stessa» come avevamo titolato qualche giorno fa. «Quanto mi ha infastidito tutta ’sta storia non lo sa» attacca. «Ma non ci sto a passare per fasullo. E ho capito che, vista da fuori tutta la faccenda, rischiavo grosso».

Il suo punto di partenza è che i giornalisti sono dei bastardi...
«Come in tutte le categorie, ci stanno gli stronzi e le brave persone. Le precauzioni servono a impedire che quelli stronzi trasformino le tue parole e ti facciano dire l’esatto contrario di quello che pensi, come mi è capitato. Un conto è la sintesi necessaria. Un altro travisare o capovolgere il pensiero».

I giornalisti tendono tranelli?
«Alcuni non hanno il coraggio di farti la domanda in faccia. Poi vanno in redazione e scrivono quello che vorrebbero che tu rispondessi alle domande che non ti hanno fatto».

Possibile che una Iena tema le trappole?
«Non le temo. Il giornalista ha tutta libertà di esprimere i peggiori giudizi sul mio conto, ma non quella di travisare ciò che dico per far bella figura. E questo non certo perché penso di essere chissà chi».

Suvvia, una Iena è maestra di trappole...
«Le mie sono oneste. Riporto fedelmente quello che l’intervistato dice. La trappola sta nella sorpresa: sbuco da un angolo quando meno se l’aspettano e faccio la domanda a bruciapelo. Oppure mi alzo in conferenza stampa e li spiazzo. Lapo, per esempio: lo incalzo, ma poi la risposta è la sua, Lapo è Lapo. La caratteristica delle Iene è che quello che dobbiamo dire lo diciamo subito, in faccia».

Quelle clausole puzzavano di doppia morale...
«Che invece non c’è. Semplicemente, sono stato scottato e cerco di difendermi. Anche se non voglio fare la parte del puro incontaminato...».

Dentro il pelo della Iena batte un cuore da agnello? Lo vedi da vicino, Lucci, e ti accorgi che, sotto le sopracciglia solitamente aggrottate, ha perfino gli occhi verdi. E ricorda il Ray Bingham di Tra le nuvole interpretato da George Clooney, il tagliatore di teste che a un certo punto scopre di avere un’anima e si umanizza. Anche Lucci, in un certo senso, è un tagliatore di teste.

Come si diventa Iena?

«Non lo so. Ho trovato questo programma che mi calzava perfetto».

Ma è un fatto di casting o di formazione? In altre parole, lei ci fa o ci è?

«Una costante di quelli che si sono affermati è che hanno avuto tutti un’adolescenza burrascosa. Quelli che lo fanno, non emergono. Molti pensano che per diventare Iena devi essere un simpaticone... Oppure un cattivo. Oppure graffiante. Stronzate».

E allora come devi essere?
«Non c’è un identikit. Io ero uno che non lo chiamava mai nessuno».

Cioè, non andava alle feste?
«Ci andavo per non restare a casa da solo. Ma poi quando ero lì non mi si filava nessuno e io covavo vendetta contro il mondo».

È per questo che è sempre così incazzato...

«Non sono incazzato. Sono uno che individua un obiettivo e cerca le strategie per raggiungerlo. Non amo gli urlatori, i tiramolotov, quella roba lì».

Però meditava vendetta...
«Soprattutto mi vergognavo come un ladro a ballare. Una volta mi lasciai trascinare e pian piano si è allargata tutta la gente finché sono rimasto in mezzo alla pista co ’sta poraccia e uno al microfono a detto “guardate un po’ Lucci che balla”. Mi sono seduto e stop».

Che libri leggeva da ragazzo?
«Mio padre mi regalò i libri di Salgari. Le tigri di Mompracem mi ha aperto la fantasia».

Suo padre che lavoro voleva che facesse?
«Vivevamo ad Ariccia. Lui faceva il pellaio, un lavoro che non esiste più. Prendeva le pelli dai macellai al mattatoio e ogni tanto mi portava con sé. Sono cresciuto in mezzo al sangue e alla merda. Mi piaceva un sacco andare con lui. Eravamo quattro fratelli e ci iscrisse tutti a ragioneria “almeno avrete un pezzo di carta”. Sono l’unico che non ha fatto il ragioniere e mi sono iscritto a Lettere».

Poi?
«Ero all’ufficio stampa della Pantera quando il Tg3 fece un servizio sulla Sapienza: decisero che dovevo parlare io. Così conobbi Claudio Ferretti. Anni dopo quando iniziai a Reteazzurra mi chiesi “chi è la persona più importante che conosco?” Cominciai dal centralino della Rai. Lui non si ricordava di me, ovviamente. Gli chiesi se era disposto a vedere un servizio che avevo fatto per darmi dei consigli. Volevo imparare. Quando arrivai, la cassetta si ruppe, me volevo sprofonda’. Chiamò un tecnico, riavvolse il nastro e lo attaccò con lo scotch. Ogni due mesi capitavo lì, “Enrico adesso non c’ho tempo”. Ma io telefonavo dalla cabina davanti alla Rai... Poi mi fece un contratto per Quasigol, con lui e Sandro Ciotti. Era agosto. M’ha chiamato ’a Rai, ma’. Immagini la festa".

C’è qualche personaggio della Tv che si è studiato?
«Guardavo Chiambretti quando andava dai personaggi senza prendere appuntamenti. Ha inventato un modo di fare Tv. Sai che il politico o l’intellettuale è in un posto, ti presenti senza tante diplomazie e gli fai la domanda che ti serve».

Il suo soprannome è Palmiro...

«Me l’ha affibbiato Davide Parenti, il capo delle Iene, perché sono togliattiano».

Che cosa pensa della sinistra di oggi?

«Il Pd, che è il partito che voto, deve ancora trovare una sua identità e quindi aspettiamo ancora un po’».

E il resto della sinistra?
«La miriade di partitini pseudocomunisti li manderei tutti in Siberia».

E i radical chic?
«Anche loro, con lo stesso treno. In Italia ci sono venti persone pettegole sempre davanti alle telecamere e tanta gente pensa che la sinistra sia quella. Mentre è fatta di persone normali e anonime che, attratte da un’idea, hanno migliorato la propria condizione».

Mediaset è un covo di comunisti?
«È piena. Antonio Ricci, Bisio, Chiambretti...».

Voi delle Iene...

«Molti di noi sì. Ma la bravura di Parenti sta anche in questo: che non siamo un programma de sinistra e che noi semo i mejo e voi un ce capite un c...».

Però siete i castigatori del malcostume, professorini con l’indice alzato...
«Più che professorini con il ditino, raccontiamo il malcostume. Per me se uno s’intasca una mazzetta è un ladro. Punto. Ci deve pensare la magistratura, questo sì. Ma noi possiamo raccontarlo».

E Mediaset vi lascia la libertà di farlo.

«La libertà assoluta non c’è da nessuna parte. Né ci sono isole felici. Mediaset deve rivolgersi a tutti. Se facesse una televisione di destra sarebbe un suicidio. Però il mercato premia di più il talento. La Rai è più burocratica. La libertà è quella che provi a prenderti e a difendere giorno per giorno. E se non ci riesci, l’importante è che il giorno dopo ci riprovi. Il muro contro muro non serve. Se ti chiudono cosa fai? Io preferisco esserci. La democrazia è una mediazione di interessi contrapposti».

Pressioni?
«Ci sono, ovvio. Dagli alleati di Berlusconi, soprattutto. Che pensano che siccome siamo di Mediaset dobbiamo essere ossequiosi. Ma ci sono anche pressioni economiche. Abbiamo fatto delle inchieste su Telecom che investe in pubblicità».

Vi scorre un po’ di grillismo nelle vene? Siete in missione purificatrice?

«Ma no. Raccontiamo il peccato, senza missioni redentrici. Siamo dei cialtroni che fanno varietà».

Quando rivede i suoi servizi non pensa mai di avere esagerato?
«In quelli vecchi trovo un’aggressività che non uso più. Adesso faccio da spalla a quello che intervisto».

Che cosa fa una Iena nel tempo libero?
«Con il lavoro che faccio non c’è differenza tra tempo libero e occupato. Comunque, la cosa che mi piace di più è prendere la moto e andare al mare a mangiare gli spaghetti. Con il giornale e il sole in faccia».

Cinema, televisione?
«L’ultimo film che mi ha sorpreso - perché è la sorpresa che cerco - è stato Basta che funzioni di Woody Allen, un film sull’amore e la casualità della vita. In tv guardo di tutto, compresa Al Jazeera Children dove ci sono i bambini arabi che fanno i quiz».

Il servizio che le ha dato più soddisfazione?
«Quando ho fatto ripudiare Mussolini a Fini. Nel 1994 aveva detto che era il più grande statista del Novecento. Ma nel 2001 stava per diventare ministro degli Esteri di Berlusconi. Così, mi chiedevo se avrebbe ribadito quel giudizio. Ho chiamato i colleghi delle agenzie, perché quando fai una cosa così non devi essere solo. Eravamo tutti attorno a lui, che ha provato a tenermi distante. Gli ho fatto la domanda: oggi direbbe ancora... Faceva tenerezza, non sapeva dove attaccarsi... Poi ha detto: no, non lo direi più».

Ha intervistato D’Alema, chiamandolo Massimetto...

«Era arrivato così, quasi dimesso...».

Con Pannella non ha esagerato?
«Ma no, Pannella è un vecchio leone che si difende con gli artigli. E ti manda a quel paese».

Di se stesso la Iena Lucci direbbe che ha la faccia come il culo?

«Be’ sì. Anche se a volte devo farmi violenza e staccare il cervello lasciando andare la lingua. Altrimenti mi farei troppe remore».



Come un tagliatore di teste. Non dirà che è timido...
«No, però...».

Però cosa?
«È un po’ come se stessi sempre a una festa adolescenziale e mi sforzassi di ballare».

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