D'accordo che Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk è un'opera di passioni violente e sanguinarie. E d'accordo che ormai il codice vigente del politicamente corretto, con tutti gli annessi e (s)connessi del tema, impone di togliere alle opere ogni sorprendente pathos ovunque fosse previsto, anche quando è funzionale alla trama, anche quando su quello stesso pathos gli autori hanno scandito il ritmo della trama o dell'interpretazione. Insomma bisogna avvisare di non emozionarsi troppo. Quindi la novità di ieri sera alla Scala, ossia l'alert per gli spettatori che, apparendo sui tablet con i sottotitoli, li ha messi in guardia sui "contenuti sensibili" dell'opera è perfettamente in linea con i tempi che non ammettono deroghe in nome di una emozionabilità prestabilita e della normalizzazione di ogni reazione. Per dire, quando Sergej (interpretato dal tenore Najmiddin Mavlyanov) viene malmenato, ecco poco prima deve scattare il tempestivo alert "alcune scene potrebbero urtare la sensibilità degli spettatori". E vabbè, se lo dice la legge chi siamo noi per giudicare, "ut lex praescribit" e tanti saluti. Rimane il fatto che ci dovrebbero ancora essere luoghi nei quali il buon senso galleggi tra le anse normative, una sorta di duty free del pensiero nei quali non pagare le tasse alla moda del momento.
Dopotutto un'opera lirica, anche questa Una lady Macbeth della Scala, non è un reportage dal fronte di guerra e non è manco Machete con Danny Trejo, non zampilla adrenalina, violenza e sangue a ogni scena e ha ritmi così lenti e conosciuti da consentire pressoché a qualsiasi spettatore di modulare la propria sensibilità all'occorrenza. Anche perché, se andiamo avanti con questa obbligatoria normalizzazione delle emozioni, tra poco metteremo anche l'alert per avvisare che arriva un altro alert.