Non trova un lavoro e si uccide

Morire di lavoro, anzi, di non lavoro. Morire per disoccupazione, si può. Anche nell’Italia del va tutto bene. Anche nell’Italia delle manovre che aiutano le fasce deboli, gli extracomunitari e i rom, ma che non riescono a salvare un uomo di 45 anni, sposato e con un figlio di 18 ancora da mantenere.
La terribile storia inizia, o meglio finisce, in un garage di Santo Stefano a Mare, in provincia di Imperia. Finisce appesa con una corda alla trave del box. Nel silenzio, nell’umidità, nella solitudine. Nella disperazione di un uomo che non lascia neppure una lettera, perché intanto è già tutto scritto in quella lettera ricevuta da qualche giorno. La lettera con cui gli si dice che non c’è più bisogno di lui, che per avere un lavoro e uno stipendio deve ritentare, sperando di essere più fortunato. L’ha ricevuta dopo che aveva bussato anche alla porta di una nuova azienda di pulizie, quella che aveva vinto il bando di concorso per la gestione del servizio ecologico a Riva Ligure. Lì, quest’estate Paolo N. aveva già dimostrato le sue doti, la sua voglia di lavorare, il suo impegno. Ma alla fine dei tre mesi di contratto era rimasto a casa. Lo sapeva, e non è ha fatto subito un dramma. Perché c’era di mezzo il cambio della ditta appaltatrice. E così l’uomo ha fatto domanda per essere assunto dai nuovi operatori.
Niente da fare. Risposta negativa. Non c’è posto per il quarantacinquenne con esperienza sul campo e con moglie e figlio a carico. Una mazzata, soprattutto perché per Paolo era l’ultima speranza. Non aveva atteso quell’opportunità senza prima guardarsi intorno. Aveva cercato, e tanto, un altro posto. Ma la risposta ottenuta era sempre stata la stessa.
Così mercoledì sera il disoccupato ha preso la decisione più disperata, quella di farsi da parte, di sparire per sempre, magari quasi sperando che il suo gesto possa toccare il cuore di qualcuno che si sentirà in dovere di prendersi cura della sua famiglia alla quale l’uomo credeva di non poter più dare un futuro. E il destino ha voluto che fosse proprio suo figlio, un ragazzo appena maggiorenne, a entrare per primo nel garage. Per primo, ma pur sempre troppo tardi. Perché anche quando sono arrivati i volontari della Croce Verde di Arma di Taggia e il personale dell’automedica, per il padre non c’era nulla da fare.
Chi conosceva Paolo N.

ricorda che ultimamente era molto depresso proprio a causa del lavoro che non riusciva a trovare, anche se non aveva mai detto qualcosa che potesse far pensare al gesto di mercoledì sera. Solo che davanti a quella corda appesa al trave del garage in molti hanno capito cosa rappresentasse davvero per lui l’incubo di non arrivare alla fine del mese.

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