Non trovano la quadratura dei girotondi

Non trovano la quadratura dei girotondi

Caro Granzotto, non entro nel merito del Nobel a Obama, ormai si sa quel che può succedere con questi esperti (vedi quelli sul clima, stamane alle otto qui in pianura da noi c’erano sei gradi, alla faccia del riscaldamento globale e della desertificazione) o questi giurati che dispensano Nobel o quant’altro sulla base delle simpatie politiche e di casta. Vorrei invece soffermarmi sul tema della libertà di stampa in salsa italiana. Succede che all’indomani della manifestazione sulla libertà di insulto contro Berlusconi propagandata con squilli di tromba e comparsate tv, si viene a sapere che anche il mitico Obama entra fallosamente a gamba tesa contro una tv americana che a suo dire lo sta perseguitando, e questa emittente lo farebbe a fini puramente politici. Qualcosa del genere succede anche al sinistro Zapatero in Spagna, che poi è la stessa cosa di quello che succede in Italia, anzi peggio, con la regia del Partito Repubblica-Espresso e compagni. Ora mi chiedo e le chiedo: non sarebbe il caso che i sinceri democratici del giornalismo coi corifei politici, dei salotti chic, le anime belle della società cosiddetta civile, artisti, cantanti, comici ecc. organizzassero non dico una manifestazione come quella contro Berlusconi, ma un piccolo girotondo intorno alle ambasciate di Usa e Spagna in segno di solidarietà con i colleghi americani e spagnoli?

Quei simpaticoni dei «sinceri democratici» dovrebbero dapprima intrecciare un paio di girotondi a Largo Fochetti e davanti a palazzo San Macuto, in via del Seminario. Cioè attorno al quotidiano La Repubblica e alla sede della Commissione di vigilanza Rai. Di Obama s’è detto, di Zapatero idem. Entrambi trattano giornali e giornalisti per quello che sono (che siamo, mi affretto a precisare). Supporti cartacei più o meno equilibrati, più o meno imparziali, ma comunque obbedienti a una «linea» politica e culturale i primi, non dunque la bibbia o le tavole della legge; comuni mortali, con le loro virtù e i loro difetti i secondi e non, come pretendono i repubblicones, casta intoccabile perché investita di chissà quale autorità morale e civile. Inoltre Obama e Zapatero rivendicano anche il diritto di non rispondere alle domande mariuole di qualche giornalista in vena di sgambetti. Diritto per altro avocato da un grande, da un pachidermico monumento alla correttezza democratica e alla devota osservanza della Costituzione nata dalla Resistenza, Oscar Luigi Scalfaro, con il suo lapidario «Non ci sto!». Questo per dire, caro Alborghetti, che la libertà di stampa, il diritto-dovere all’informazione e tutte quelle balle là sono diventati, nelle mani dei «sinceri democratici», concetti assai elastici, malleabili come il Pongo e facilmente modulabili ai propri interessi. Per i repubblicones la libertà di stampa è la libertà di sparare minchionate impunemente. Ed è minacciata (dando il via agli appelli e agli strusci in piazza) quando sono chiamati a render conto delle loro minchionate. Per la Commissione di vigilanza la libertà di stampa, nella forma televisiva di libertà di espressione, è subordinata alle credenziali degli aventi diritto. Augusto Minzolini, per esempio, non ne può e anzi non ne deve beneficiare. E se lo fa, se manifesta liberamente il proprio pensiero nel corso del telegiornale che dirige, kaputt. Sandro Curzi, che era un vecchio comunista e pertanto occhei, poteva farlo ogni sera. Gianni Riotta, che ha studiato in America e stava in maniche di camicia (look sinceramente democratico), idem.

La morale della favola è questa, caro Alborghetti: quanti denunciano attentati alla libertà di stampa sono gli stessi che vorrebbero imporre la mordacchia a chi canta fuori dal coro. Furbetti del quartierino, insomma, che Minzolini ha fatto benissimo a mandare, sebbene col dovuto garbo, a quel paese. Così si fa.

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