«Non voglio la paga da parlamentare» La Camera: non puoi

RomaLa storia al contrario del deputato Marco Airaghi sembra un racconto metafisico sulla burocrazia polverosa che supera il paradosso. Il deputato è appena eletto, prende il posto di un collega che ha assunto un incarico prestigioso, consigliere alla Rai. In sostituzione di Antonio Verro entra Airaghi. Stesso partito, Pdl.
Airaghi viene dalla pubblica amministrazione, è un alto dirigente. Riveste il ruolo di direttore generale dell’Agenzia Industrie Difesa. Gli pare normale, appena nominato, far presente di essere già pagato, e bene, dallo Stato. Non vuole, dice, ricevere l’indennità da parlamentare. Ma la sua richiesta fa strabuzzare gli occhi ai dipendenti della Camera che gestiscono le pratiche degli eletti. Manda in tilt gli uffici. Impone ricerche storiche per cercare precedenti. Alla fine la risposta è un rifiuto: ci dispiace, non è possibile toglierle l’indennità.
Era questa la richiesta di Airaghi: rinunciare allo stipendio, perché lui, già dipendente dello Stato, non ha intenzione di essere pagato due volte dalla pubblica amministrazione. È un comportamento che potrebbe essere non eccezionale, lodevole ma non straordinario. Dovrebbe, ma certe cose nella politica girano proprio al contrario. Dopo le verifiche per cercare i precedenti, il verdetto degli uffici della Camera è inappellabile: «Non è possibile rinunciare all’indennità, perché è prevista da una legge statale». La rinuncia, diritto legittimo, non è consentita. L’automatismo del mondo parlamentare non concede deroghe, stritola i buoni propositi, rende impossibile un gesto diverso dalla quieta accettazione di un’indennità che tutto il mondo ci invidia.
Poi, con le ore, il caso di Airaghi monta, la storia fa sorridere come una barzelletta. E alla fine Montecitorio comunica all’agenzia Adnkronos che sì, il neodeputato Airaghi può rinunciare al suo stipendio parlamentare. Può cioè scegliere tra l’uno e l’altro. C’è, infatti, un’altra norma, questa più recente, che consente queste eccezionalità: l’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001 numero 165, in base al quale i dirigenti della pubblica amministrazione eletti parlamentari «possono optare per la conservazione, in luogo dell’indennità parlamentare, del trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di appartenenza». L’indennità si può evitare solo in questo caso. Altrimenti il deputato è obbligato a ricevere le mensilità e non può rifiutarsi di essere pagato, confermano dalla Camera.
Il neodeputato chiarisce che l’idea non era un moto di antipolitica, gli sembrava una richiesta naturale: «Non sono un eroe - spiega Airaghi - e non sono assolutamente per l’antipolitica e, anzi, sono molto spaventato dalla demagogia, dal populismo e dall’anticasta: il mio è un gesto assolutamente personale, non giudico e non valuto gli altri perché l’indennità parlamentare è motivata dalla necessità che un deputato sia indipendente e libero da qualsiasi condizionamento ed è, dunque, comprensibile. Io semplicemente - sottolinea - non mi sentivo di accettare l’indennità perché ho già un altro incarico».

Airaghi ha sollecitato verifiche sulla sua posizione: «Ho chiesto al presidente Fini di attivare gli uffici della Camera per valutare eventuali profili di incompatibilità tra la carica di deputato e il mio incarico alla Difesa in modo tale che, se sarà acclarata un’incompatibilità, io possa fare una scelta».

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