«Non voglio il sussidio, meglio lavorare»

Giosuè Meo ha 45 anni, sposato due volte, due figli acquisiti e la Fiat nel destino. Figlio di un operaio di Mirafiori, casa nel villaggio Fiat di Settimo Torinese, 23 anni di catena di montaggio alle spalle. Operaio di quarto livello, lavora alla linea di montaggio dell’Alfa Mito. Ieri il suo turno alle Carrozzerie cominciava alle 14: «Voterò sì perché manterrò il posto e guadagnerò di più. Se vincerà il no, da lunedì mi metterò in cerca di un nuovo lavoro. Qui non ci sarà futuro».
Entrò in Fiat nel 1988 con un’infornata di figli di dipendenti, da bambini giocavano nello stesso cortile e da grandi lavorano nello stesso reparto. «Pentito? Quando mai. Da ragazzo mi aveva assunto una legatoria con 80 dipendenti, il proprietario ci stava sempre col fiato sul collo. A Mirafiori salutavo il caposquadra a inizio turno, poi non lo vedevo più. Nessuno controllava il lavoro. La Fiat era una garanzia, nel bene e nel male; mio padre ci aveva mantenuto la famiglia e comprato casa». Altri tempi, le Carrozzerie avevano 13mila dipendenti ora ridotti a 5.500. «Mi misero a montare vetri. Ero giovane e mi piaceva lavorare, ero più veloce della linea: ne montavo 4-5 in sequenza per ritagliarmi qualche pausa, a volte anche il tempo di un caffè».
Meo è un testimone diretto della metamorfosi Fiat. «La linea di montaggio è fastidiosa, non ti puoi allontanare, non sei libero di gestirti il tempo. Ma i robot hanno cambiato moltissimo». Le tute blu li chiamano «partner», come in una convivenza che non diventa matrimonio. «Una volta montavamo le plance a mano, un pezzo alla volta. Ora che accorpano anche pedaliere e ventilazione, il partner li alza e li sistema mentre noi controlliamo con il joystick. Ai sedili ci spaccavamo la schiena per sollevare i pezzi e montarli, ora gli addetti devono soltanto fissare le viti. Al sottoscocca lavoravamo sdraiati, con le braccia sempre in alto e la faccia in su sempre sporca d’olio che colava, mentre adesso un supporto meccanico ruota il pianale di 90 gradi e me lo colloca di fronte: fissare un tubo o una marmitta comporta lo stesso sforzo di piantare un chiodo».
Tutto sommato, le novità introdotte dall’accordo del 23 dicembre sono poca cosa di fronte agli stravolgimenti indotti dalla tecnologia alle catene di montaggio. «È vero, perderemo 10 minuti di pausa, ma era una rinuncia già prevista due anni e mezzo fa, quando venne introdotto il nuovo sistema di controllo delle lavorazioni che ora sta uscendo dalla fase sperimentale. Lavoreremo di più, ma avremo anche più soldi. Il contratto attuale prevede cinque scatti biennali nei primi anni dopo l’assunzione, poi basta: significa che i “vecchi“ non vedono un aumento in busta paga da tempo immemorabile. Ora con il passaggio nella nuova società gli scatti già acquisiti vengono assorbiti nel superminimo e si aprirà un meccanismo per ottenerne altri cinque».
È così che Meo spiega il guadagno ottenuto in cambio del sì al referendum. «L'accordo di Natale mantiene le condizioni di miglior favore garantite da Fiat rispetto al contratto nazionale, come il trattamento dei giorni di malattia e il pagamento di straordinari, notturni e festivi. Da 1.100-1.200 euro netti al mese si potrà passare a 1.400-1.500. Non arriveremo ai livelli delle tute blu tedesche, ma in Germania la flessibilità è ancora maggiore». Il diritto di sciopero? «È garantito. E mi sembra corretto impegnarsi a non scioperare contro un patto dopo averlo accettato». E Marchionne, com’è visto dagli operai Fiat? «È antipatico per il suo modo di parlare rude, ma chi bada alla sostanza non lo vede male. Magari non gli metterebbero i tappeti rossi di Chiamparino o della Chrysler, ma non dimentichiamo che nel 2005 eravamo sull’orlo del fallimento. Magari ci fossero altri 20 manager che ricattano l’Italia con miliardi di investimenti. Ma se prevalesse il no, da lunedì mi cercherei un altro lavoro.

Termini Imerese ha chiuso, degli interventi del governo non mi fido, non mi aspetto altri interventi esterni. Da giorni la Fiom e i Cobas fanno terrorismo psicologico, ma io non voglio finire con gli assistenti sociali che mi passano 300 euro al mese di sussidio».
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