Laura Novelli
Nelle regie di Toni Servillo si ritrovano le stesse qualità della sua recitazione: pulizia, rigore, ritmo, semplicità, pause eloquenti come parole. E se il discorso vale per gli allestimenti classici (basti citare autori come Molière, Marivaux e ovviamente lEduardo del fortunatissimo «Sabato, domenica e lunedì»), tanto più queste caratteristiche sono apprezzabili in lavori tratti da opere di drammaturgia contemporanea. Come è il caso dellultima messinscena dellattore/regista partenopeo, «Il lavoro rende liberi», dove due atti unici di Vitaliano Trevisan («I quindicimila passi» si intitola il romanzo più famoso di questo scrittore veneto schivo e poliedrico) diventano il pretesto per scandagliare la solitudine e lo spaesamento delloggi, sullo sfondo di un Nord-est impastato di dialetto vicentino e popolato da uomini e donne che emanano un profondo senso di vuoto. Vuota è daltronde la scena che li ospita, priva di qualsiasi connotazione geografica e temporale ma carica, proprio perché spoglia, di tensioni emotive affidate essenzialmente a un linguaggio sobrio e circolare, a taglienti giochi di luce e a una recitazione oseremmo dire perfetta, che da Vicenza catapulta questa umanità allo sbando in un altrove di respiro universale.
Nel primo quadro, «Scandisk», tre giovani magazzinieri che lavorano vicino a unoasi del Wwf consumano la loro voglia di vita e di evasione tra accenti ribelli e propositi illeciti che aprono «probabili» spiragli di cambiamento. Fuggire a Cuba dopo una rapina sembra lunico sogno coltivabile per annullare disagi e frustrazioni.
«Defrag», nella seconda parte rievoca il passato di tre donne (anchesse vicentine) chiamate, ognuna a suo modo, a fare i conti con fallimenti personali e sentimentali dietro i quali si nascondono perbenismo sociale e storie affettive assolutamente difettose. In scena ci sono ora Anna Bonaiuto (la madre), che ritrova qui le sue radici nordiche e restituisce uno splendido ritratto di signora bene algida e pragmatica, Michela Cescon (la figlia più grande) e Bruna Rossi (la figlia minore), entrambe molto brave. Occupano lampia sala del teatro India (dove il lavoro è attualmente in scena ) sedute su pedane mobili che rappresentano tutto il loro mondo. Non parlano tra di loro, ma attraverso tre monologhi distinti compongono un unico - inquietante - resoconto esistenziale. La Cescon si cosparge di creme e intanto liquida il ricordo di un padre morto troppo presto e di un ex-marito (un intellettuale) troppo diverso da lei. Più inquieta e mossa è la figura tratteggiata dalla Rossi, vittima di una madre tutta soldi, villa e commercio e di un matrimonio infelice.
Ai personaggi Trevisan regala una lingua asciutta e ripetitiva (dunque piacevolmente poetica), sulla quale Servillo costruisce uno spettacolo nitido: chiaramente votato a dimostrare la schiavitù del lavoro più che la sua garanzia di libertà.
Repliche fino al 30 giugno.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.