Una volta, quando l’asfalto era per definizione «viscido» e la notte «buia e tempestosa», era più facile per chi faceva questo mestiere affrontare avvenimenti e personaggi che eccedono la normale quotidianità. Una volta, quando il luogo comune non era ancora diventato un incubo, per fuggire il quale ora ci si avviluppa in altri, più moderni luoghi comuni, ci si affidava serenamente a certi consolidati stereotipi, e il gioco era fatto.
Di fronte a uno come Anders Breivik per esempio, l’autore delle due stragi in Norvegia costate un’ottantina di morti e 150 feriti, non ci sarebbe stato neppure un palpito di incertezza. Un caso di «lucida follia», si sarebbe detto. E si sarebbe colto nel segno. Ieri questo dottor Mengele del ventunesimo secolo è comparso davanti ai giudici di Oslo che forse lo condanneranno alla fine a 21 anni dicarcere, ilmassimoalqualelagiurisprudenzadiquelPaesesapensare per il crimine più efferato. Ci ha messo qualche minuto più del previsto, Breivik, per comparire in aula, perché l’auto in cui è rinchiuso ha dovuto fendere ali di folla che voleva la sua pelle, mentre lui se la godeva sorridendo estasiato, ma si è poi limitata a tempestare di pugni la carrozzeria dell’automezzo in cui il biondino era ristretto.
Avrebbe volutocomparireinaulaindivisaetrasformare il suo banco di imputato in un pulpito dal quale indirizzare un proclama al mondo. Ma i giudici, inorridendo di fronte alla prospettiva di uno show mediatico e temendo forse di offrire ad altre menti bacate un «mostro» da emulare, glielo hanno impedito.«Sì,sono stato io », ha ammesso Breivik di fronte al giudice Kim Heger, evocando in maniera obliqua la presenza di almeno altre due «cellule»di suoi confratelli in Europa, «ma non mi sento responsabile».Convinto di aver fatto solo ciò che era «necessario» per fermare la stolida e acquiesciente «alleanza marxista-islamica» responsabile del declino dell’Europa cristiana. E si scopre che Breivik era stato segnalato ai servizi di sicurezza norvegesi già a marzo. Mattoperniente, forse, mafanatico a tutto tondo, Anders è un compendio di molte cose.
Nella sua testa c’è il mondo virtuale dei wargames di ultima generazione, dove i nemici sono bestie schifose da eliminare urgentemente; c’è una società futuribile che è stata invasa da «alieni» che hanno le facce scurette e il velo di chi viene dal mondo arabo musulmano e trasformerà certamente l’Unione Europea in una «Eurabian Union». C’è soprattutto l’eroismo temerario di Pietro l’Eremita, dei Crociati di Goffredo di Buglione, di Federico Barbarossa e dei Templari, che andavano a riscattare il Santo Sepolcro e a difendere i cristianiinTerraSanta. Breivikvoleva mandare «un segnale forte», colpendo i laburisti al potere e la loro voluttà «multiculturale».
Che il segnale sia stato forte non c’è dubbio. Così forte da stordire quasi suo padre, Jens Breivik, un ex diplomatico orainpensionechevivenelsuddella Francia. Jens Breivik, che non vedeva Anders da 16 anni, stava scorrendo i giornali su Internet quando la faccia di suo figlio gli si è avventata contro. «Da piccolo- ha ricordato il signor Breivik- Anders era un tipo normale,forse un po’ solitario.Non capisco come mai non si è ucciso anche lui, dopo aver ammazzato tanti innocenti»,ha concluso a occhi bassi.
Si cercano eventuali complici (un polacco strigliato dalla polizia del suo Paese aveva solo venduto, senza malizia, si è scoperto, del materiale chimico usato dal fondamentalista per fabbricare le bombe), e si apprende che i ragazzi disperati che venerdì, dall’isola della paura, avevanotentatodichiamare la polizia si erano sentiti rispondere: «Se non è per la bomba di Oslo, riagganciate»...
Mentre la Norvegia e gli altri Paesi scandinavi si sono uniti ieri in un minuto di angosciososilenziopopolatodidomandeinquietanti: come porsi di fronte a quel multiculturalismo che -senza arrivare alla «lucida follia» di Anders- sta generando un fronte sempre più compatto di ostilità?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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