Caro Granzotto, dalle sue risposte si può dedurre che le sue preferenze nel campo del diritto vadano a quello di stampo anglosassone e devo dire che quando vedo un film americano del genere legale resto anchio ammirato. Ma un film è una cosa, la realtà unaltra (pare che in America per difenderti bene in tribunale devi dar fondo a tutti i risparmi per pagarti lavvocato, professionisti che gli americani considerano sanguisughe o vampiri) e dunque le chiedo che cosa la porta a giudicare un sistema giudiziario che non può contare su un codice scritto migliore del nostro che invece è ampiamente e minuziosamente codificato, anche nella procedura. Non le pare che in questo caso il «carta canta» vada a tutto vantaggio della certezza del diritto?
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I bravi avvocati costano, caro Franceschini, in America come in Italia. Ma come lei ben sa, Oltreoceano su cento cause solo cinque, sei finiscono in aula. Le restanti sono risolte nellufficio del giudice davanti al quale il rappresentante dellaccusa e quello della difesa concordano la misura del patteggiamento. Una controversa lesta, senza tanti, anzi, senza alcun impaccio procedurale e necessità di richiamarsi a pandette e brocardi. La rapidità del procedimento, il non dover condurre indagini, cercare prove e testimoni, stabilire una linea di difesa e darle poi corpo - tutte cose che fanno lievitare la parcella degli studi legali - consentono di mantenere i costi e di permettere allimputato di non finire spennato. E veniamo al dunque: sì, lo ammetto, quel sistema mi convince assai più del nostro, che è farraginoso, pane per i denti dellAzzeccagarbugli. Ha mai letto La panne. Una storia ancora possibile di Friedrich Dürrenmatt? È la storia di un uomo daffari, Alfredo Traps il quale, appiedato da un guasto al motore della sua auto, una panne, chiede e ottiene ospitalità nella villa di un ricco giudice in pensione, herr Zorn. Nella villa risiedono altri ospiti, un ex pubblico ministero, herr Kummer, un ex avvocato, herr Pilet, e Simone, un oste. Quando si trovano riuniti attorno alla tavola magnificamente imbandita e servita, in una atmosfera divenuta subito amichevole, Zorn propone a Traps di partecipare a un gioco, il gioco del processo. Ciascuno dei presenti coprirà il ruolo precedentemente svolto e dunque quello del giudice, quello dellaccusatore e quello del difensore. Traps sarà limputato e per far le cose come si deve loste viene nominato boia, nel caso si arrivasse alla condanna capitale.
Va a finire che, partito in allegria, fra battute di spirito e toni più che bonari, quasi camerateschi favoriti anche dallottimo vino servito, il gioco diventa serio. Anche perché in passato Traps si rese effettivamente colpevole di un reato, ma «perpetrato in modo così raffinato da essere brillantemente sfuggito, è ovvio, alla giustizia dello Stato». Ponga attenzione, caro Franceschini, a quel «è ovvio». Sarà Zorn, magistralmente assistito da Kummer, a riparare alla mancanza della «giustizia di Stato» finendo per condannare il povero Traps a morte. Il racconto finisce con Traps che «scoperto», fortemente suggestionato dalla messinscena del processo e dalle arringhe dellaccusa, che si toglie la vita («Alfredo, mio caro Alfredo! Ma che cosa ti sei messo in testa, santo cielo? Ci rovini la più bella serata della nostra vita!» esclamerà Zorn scorgendo lospite pendere da una corda). Bene, torniamo a quel «è ovvio» che da quando lessi il racconto seguita a ronzarmi in testa.
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