Il nostro inviato/Interrogato dalla polizia per un colpo di citofono

È andata così (è tutto registrato). Ore 9.20 del 27 luglio. Montecarlo. Il portone del palazzo è aperto. Corridoio, porta d’ingresso di casa di Giancarlo Tulliani. (suoniamo). «Chi è?»
Buongiorno, cercavo Giancarlo Tulliani
«Sì... sono io»
Sono un cronista del Giornale
(silenzio)
Mi può aprire? Vorrei farle qualche domanda a proposito di quest’appartamento che apparteneva a una contessa che l’ha donato ad An
(silenzio)
Signor Tulliani?
(rumori dietro la porta. Silenzio). Due, massimo tre minuti. Tanto è durato l’«assillo martellante», la ripetuta «violazione del domicilio e della privacy» che Giancarlo Tulliani denuncerà via telefono alla polizia monegasca, rincarando la dose non appena le volanti della Surete Publique inchioderanno di fronte l’hotel dove l’incauto cronista, preso atto del diniego, era riparato per la colazione.

Strano comportamento per uno che non ha niente da nascondere. Tant’è. Con i poliziotti in giro per i piani dell’albergo a dar la caccia al molestatore di cognati di Fini, nella hall incrociamo l’uomo del silenzio accompagnato da signorina bionda. «Giancarlo?». Tulliani si volta di scatto. Capisce. Si finge francese. Poi si tradisce: «Io non la conosco».

In quel momento arriva il primo poliziotto, poi un altro. Chi vi scrive è messo in un angolo: nome, cognome, documenti, si metta qui, non si muova, domande a raffica sul perché ci siamo permessi di molestare monsieur Tulliani, domande sul giornale, domande sul nostro interesse per l’appartamento. «Sono cose che non si fanno», pure. «Doveva telefonare prima», l’avrei fatto ma Tulliani sull’elenco non c’è. E poi da quanti giorni eravamo a Montecarlo. Dove siamo stati. Con chi abbiamo parlato. Domande su domande. Controlli via radio alla centrale. Alla fine: «Può andare. È libero. Parte stasera, vero?». Va bene.

Il tempo di prepararsi per andare all’aeroporto e la polizia si fa viva con un biglietto consegnato a mano: l’invito è quello di presentarsi le plus rapidement possibile alla centrale. Andiamo. Prego, si accomodi. Nome, cognome, perché questo interesse, cosa voleva sapere dell’appartamento. Insomma, le domande della mattina.

«Prego, ci segua». Ascensore, scale, corridoio: gabinetto della polizia scientifica. Ecco, si metta qua. Guardi l’obiettivo, non si muova, clic. Fotosegnalato e indesiderato. Au revoir.
GMC

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