Una nottata con Tarantino: "I miei film? Li decide il cane"

A Parigi l’incontro a sorpresa con il genio del cinema che accompagna l’uscita francese di Inglourious basterds: "Mi piacerebbe se obbedissero come i pezzi degli scacchi. Ma forse mi divertirei di meno"

Una nottata con Tarantino: "I miei film? Li decide il cane"

Parigi - All'inizio credevo che scherzassero. Parlo degli amici parigini che l’altra sera, credendo di farmi una gradita sorpresa, mi confidarono con aria da cospiratori che in salotto mi attendeva una persona che non mi sarei aspettato di trovare. Chi fosse non me lo dissero. Incuriosito, mi incamminai verso il luogo designato col passo di una vittima in attesa del carnefice. Tanto che di primo acchito non riconobbi l'uomo in nero, avvolto in una polo che sembrava un sudario, che ad occhi bassi davanti a una scacchiera contemplava cavalli e regine. Non sapendo che fare mormorai un timido bonsoir che lui decisamente ignorò. Cominciai allora a studiarlo di sottecchi pensando che prima o poi avrei scorto i suoi occhi. Ma lui pareva essersi esiliato dal mondo come i serpenti quando celano il capo tra le spire. «Scusi, posso sapere il suo nome?», balbettai spostando una sedia. Di colpo quel brusco movimento lo destò dal suo letargo. «Ma come, se ne va via?», replicò squadrandomi da capo a piedi. «Mio Dio, ma lei non è...?», sussurrai. «Certo che sono io, Quentin Tarantino, il re del pop, il mostro che mastica violenza e, splash, sommerge il pubblico in un Mar Rosso di sangue, non ha capito?». E, tanto per non tradire il suo personaggio, mi puntò contro un dito che mi attanagliò più gelido e spietato della canna di un fucile. Mi scusi, ricominciai in tono di scusa. Ma lui mi prevenne con un fiume di parole.

«Non mi dica che ha visto tutti i miei film e che sono un genio. Tutto questo lo so e, se ci tiene a saperlo, mi annoia. Facciamo così: io parlerò. E lei, se ne avrà voglia, mi interromperà. Va bene?». Feci un cenno affermativo. «Ok, allora. Sparo io la prima risposta alla richiesta che tutti mi pongono con l'aria di processarmi. Ossia perché in Inglourious basterds, il mio ultimo film, metto in scena ciò che non è mai accaduto. Come se il cinema debba limitarsi alla realtà dei fatti. Una cosa che odio, che non ho mai fatto e mai farò». «A differenza di Leni Riefenstahl che, nel Trionfo della volontà filmò il Congresso di Norimberga?», gli chiedo. E Tarantino di rimando: «Il cinema che è invenzione pura non deve mitizzare la realtà ma esaltarla o minimizzarla. Senza dimenticare che è il film a resistere oltre il tempo». Ma come, sbotto, mi sta dicendo che è lecito capovolgere, camuffare o addirittura falsare... «Io indico delle possibilità che sullo schermo diventano dei fatti», mormora il Genio mentre, dal buio, estrae l'amata fiaschetta di quel whisky cui non sa rinunciare. «Quando gli eroi entrano in campo bisogna lasciarli liberi di agire, non trova?». Sono sbalordito. Al punto che, ripetendomi, butto lì risentito che ci deve pur essere un limite nel nostro approccio alla Storia. Ma lui non mi lascia finire invitandomi invece ad andare a vedere il film che in Italia s'intitolerà Bastardi senza gloria (a Parigi uscito l’altro ieri - non per niente era nella capitale francese per promuoverlo -, in Germania ieri e da noi il 2 ottobre) prima di giudicare la sua fantasy di un commando ebreo che riesce a uccidere Hitler e il suo stato maggiore nel corso della proiezione di un film di propaganda. «Mi hanno attaccato persino a Cannes», confida tristemente, «assegnando il premio per l'interpretazione a Christoph Waltz senza tener conto dell'originalità di una storia dove gli ebrei procedono allo scalpo del nemico come gli indiani coi visi pallidi».
«Ma questo, gli obietto, non è tramutare il dramma in una farsa che finisca per assolvere il nazismo?» - gli ho appena vomitato addosso una simile accusa che mi taglierei la lingua. Potevo o no starmi zitto? Sta a vedere che adesso mi mette alla porta, penso con rammarico. Ma Tarantino batte le mani con fare imperativo. Cosa fa?, gli chiedo allarmato. «Betsy, Betsy, come here!», chiama con affetto il Genio battendo i piedi per terra. Chissà chi arriva adesso, mi preoccupo. La sua fida segretaria o la donna del momento?

Previsioni fallaci perché si fa strada un bassotto che, da come si muove, sembra perlomeno coetaneo di Matusalemme. «Ecco», dice lui in tono sarcastico, bombardandomi con quelle sue pupille oro nero che fanno pensare a un barile di petrolio, «chi può risponderle. Quando questa piccola bastarda che mi tengo sempre accanto guardando i miei film, abbaia risentita sono sicuro di aver visto giusto. Possibile che gente come lei non capisca che il cinema è un sogno o, se vogliamo, un incubo?». E sussurra risentito questo assioma stringendosi nella suo polo nero come se ci trovassimo nell'Antartide e non nell'insopportabile calura della Parigi estiva. Che adesso lo spinge a congedare Betsy come una moglie noiosa per tornare imperterrito agli scacchi. Che paragona agli attori. «Sarebbe bello se obbedissero a mosse preordinate in partenza», dichiara malinconico. «Anche se», si corregge, «in tal caso non ci sarebbe margine per il gioco». Che per lui non può prescindere dall'uso delle armi. Tanto è vero che ora si alza dirigendosi verso una vetrina dove brillano due pistole incrostate di madreperla. Che Quentin maneggia gioioso mentre prosegue il suo monologo. «Che belli gli spaghetti-western con Lee Van Cleef che sembra sparare con gli occhi senza bisogno di tirare il grilletto», declama. Quelli sono film che quasi quasi antepongo persino alle Iene, il film che amo di più». Quello che tanti contestano ancor oggi per la scena in cui vien tagliato l'orecchio a un poliziotto, ricordo. «Un dettaglio che non mi dispiace», confida carezzandosi i jeans sdruciti alla James Dean che ancor oggi non smette, nonostante abbia messo su pancia per via degli hamburger ham and cheese, cibo ideale per un cowboy come lui. Che, come gli si rimprovera da più parti, lascia passare troppo tempo tra un film e l'altro. Non è vero, forse?

Una provocazione che non tocca quest'uomo incredibile che a 46

anni si considera un eterno studente. Di quelli, sottolinea con humour, che sperano di misurarsi con Uma Thurman. Perché le bionde, soggiunge velenoso, non sono né bianche né nere ma femmine tre volte. Parole di Quentin.

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