da Milano
La Madonna di Alceo Dossena non ha luce. Così il bambino che le porge una rosa. Sta all’ingresso della casa. «Mia madre si sta spegnendo serenamente». Silvio Berlusconi così ha detto di Rosella, di anni novantasei. Rosella mi sembra il nome più giusto ed elegante, insieme più vero, in queste ore, per una donna piccola e forte, secondo racconto e repertorio, per molti soltanto «mamma Rosa», come un’etichetta, uno slogan per tante, troppe cose, tante, troppe donne.
Accade dunque che le cronache acide e caotiche di politica e di giustizia, gli accordi e le accuse, gli applausi e i fischi, finiscano nel frullatore dei rifiuti, cacciate via con rabbia per lasciare il posto alle emozioni del cuore, ai sentimenti veri, profondi, a un senso di vuoto e di ansia, accade ai figli che vedono e sentono il tempo fermarsi improvvisamente per portarsi via un altro pezzo di ricordi, la mano da stringere, il volto da accarezzare, la madre. Rosella (in famiglia Rosetta ma il marito Gino la ribattezzò Rosella e poi Rosellina) Bossi Berlusconi è la mamma del Silvio, del Paolo e della Maria Antonietta. Si stanno dando il cambio, per non lasciarla sola. «Ci dice cose bellissime, ci ripete non preoccupatevi, sono sicura che andrò in paradiso, continuerò a proteggervi e a pregare per voi. Questa è la vita e io sono arrivata alla fine: ho avuto una vita difficile ma poi sono stata ampiamente ripagata».
Dunque Rosella continua a fare la madre, a rassicurare i figli, a regalare una speranza come le è capitato da sempre, dai tempi in cui faceva la dattilografa alla Pirelli e a sera a far la maglia, i maglioncini neri commissionati dal partito fascista. Non volava mica per i cieli di Milano in elicottero come sarebbe accaduto al Silvio e al Paolo, ma prendendo la corriera fino a Lomazzo e poi salire sulle Nord, quella ferrovia che non si sa bene dove sia e dove porti ma arriva a Cadorna e da qui, a piedi verso l’ufficio del «gommista». Tempi belli, si potrebbe pensare. Tempi di guerra, di paura, per il Luigi, «el me Gino», partito soldato, per la famiglia che se ne era andata in Svizzera e i tedeschi rastrellavano e quel giorno Rosella spedì a quel paese l’ufficialetto di Germania che voleva arrestare una signora ebrea.
Il treno viaggiava lento, allora si poteva anche comprendere, il rumore fastidioso degli stivali e l’odore della divisa del tedesco riempirono la carrozza, la signora ebrea prese a tremare quando sentì l’ordine cattivo del militare. Rosella allora decise di scendere in campo, alzò la voce mentre gli astanti sembravano paralizzati, mise la sua faccia sotto il naso dell’ufficiale, lo prese addirittura per il bavero: «Va via, dì che non l’hai trovata, vai via di qui». Il tedesco di Germania le mollò uno spintone alzandole contro la canna del fucile, minacciandola: «Sta zitta o ti ammazzo». Rosella, raccontarono i testimoni, ripreso l’equilibrio, non cambiò forma e sostanza del suo dire: «Se mi spari, tu da questa carrozza non scendi vivo». Il «coraggioso» ufficiale scese vivissimo dal treno, avendo cioè eseguito alla lettera gli ordini della signora Bossi in Berlusconi.
Atto eroico? Robetta, per la Rosella, rubèta come direbbe lei in dialetto, lingua di uso comune per andare al sodo, per rendere meglio l’idea. Volete un esempio? Di Francesco Rutelli, destinato alle Belle Arti, ha saputo cogliere l’aspetto essenziale: «El se mett lì cume se fuss un concorso di bellezza», però in fondo le piace, a differenza del Prodi. Bello è un aggettivo che Rosella mamma Rosa riserva in esclusiva per i figli e per i nipoti: «I ragazzi li ho fatti io, i sacrifici per loro li ho fatti io, ma voglio bene anche ai miei nipoti, sono tutti belli». Una squadra robusta, più forte del Milan, con la presidentessa-allenatrice-tifosa che non teme esoneri e contestazioni. Anzi. Lei dirige, anche a tavola, seduta, ogni lunedì che Dio manda in terra, alla destra del figlio maggiore, a prescindere dall’importanza degli ospiti invitati, e lei parla e gli altri ascoltano per riverenza e per fascino.
Così è capitato allo stesso Silvio, in una notte insonne, piena di pensieri e di stanchezza, convinto dalla madre a fermarsi e ad affrontare definitivamente la missione politica: «Non puoi deludere chi ha fiducia in te, devi andare avanti, ma prima prenditi una sosta: ritroverai il tuo coraggio, le tue energie, il tuo entusiasmo e la tua fede e ritornerai il combattente di sempre». Aspetta, serenamente, che il figlio maggiore diventi capo dello Stato: «Perché fà nagòtt ed è onorato da tutti». Nell’attesa ha già preparato la valigia: «Non ho paura. Sono pronta, mi metto nelle mani di Dio.
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