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«Le nozze? Un reportage Senza più scatti in posa»

Ha immortalato John Kerry come testimone, Tarantino come ospite E, in Scozia, le fedi portate da un falco

Serena Coppetti«L'emozione è un attimo. O la cogli o l'hai persa». Ecco perché per ogni nuovo matrimonio Edoardo Agresti si mette al collo le sue tre macchine fotografiche e si carica anche di quel senso di responsabilità che non riesce mai a lasciare a casa, nonostante le oltre mille cerimonie già immortalate. Una lacrima non può scendere di nuovo. L'accenno di un sorriso. Uno sguardo di intesa. «Sono talmente tanti gli eventi che gli sposi vivono quel giorno che non hanno il tempo di sedimentarli. La fotografia serve a bloccare quell'attimo che altrimenti andrebbe perso. Insomma, deve essere sempre buona la prima». Edoardo Agresti, fiorentino, ha (quasi) 52 anni. Da venti fotografa matrimoni. Quelli di lusso. Tradotto in cifre, si parla di un budget che va dal milione di euro in su. È il circuito dei «Luxury wedding» nel quale si muovono una ventina di fotografi al mondo. Lui è uno di questi. È stato chiamato in Scozia per le nozze di uno dei 50 uomini più ricchi al mondo, dove gli anelli sono stati portati da un falco. Ha immortalato il matrimonio di un principe della Nigeria, duemila invitati e cerimonia con giubbotto antiproiettile. Ha fotografato come testimone di nozze il vicepresidente americano John Kerry e ospiti come Quentin Tarantino. Ha scattato nel parco di Yellowstone, a New Orleans, Parigi, San Pietroburgo. Matrimoni ortodossi, ebraici, induisti e protestanti. Feste con migliaia di invitati oppure intime, come è successo nell'Abbazia senza tetto di San Galgano con solo 4 ospiti. Una costante: nessuna foto in posa. Il suo è sempre un reportage. Sia che si tratti di sposi come di bambini africani. Ha alle spalle una cosa come 130 spedizioni in altrettanti paesi, fin da quando aveva 9 anni, con la sua famiglia. Da lì non ha mai smesso. Prima dei matrimoni ci sono stati i racconti in Mozambico, Malawi, all'Avana, in Nepal. E i progetti sociali. Ha vissuto 15 giorni tra i transessuali del Bangladesh per raccontare la loro storia, tra i sopravvissuti di Dhaka, a San Paolo tra i senzatetto dipendenti dal crac. Nel 2011 ha vinto il primo premio del National Geografic con uno scatto del festival di Holi in India. Sembra tutto così lontano dai matrimoni. E invece non lo è. «Mi piace raccontare storie dove le persone sono protagoniste. E il matrimonio è una di queste». Il suo lavoro comincia molti giorni prima del fatidico giorno. «Incontro gli sposi per conoscerci bene. Parliamo, tanto. Si deve stabilire una certa empatia perchè sei l'unico che sta con loro durante tutta la giornata. È importante per me. Più li conosco più li fotografo meglio. Ma anche per loro che non si devono accorgere della mia presenza...» Sta in questo il «trucco» del reportage. «Divento invisibile. Mi devo mimetizzare tra gli invitati». Così ad esempio in Scozia ha indossato il loro kilt tradizionale. In America per un matrimonio sulla spiaggia se n'è andato pure lui in giro in costume. Preferisce il colore «perchè non sono uno che guarda il mondo in bianco e nero». Ma una delle sue tre macchine fotografiche è stata convertita a infrarossi così da creare un'atmosfera speciale. Dei 4/5mila scatti realizzati ne seleziona non più di 200. Ha disegnato lui stesso gli album in plexiglass e persino in legno «per dare l'esclusività assoluta», anche se ormai li richiedono solo gli italiani. L'ultima tendenza? «Fare le foto nell'ora blu, quando il sole tramonta ma non è ancora buio...

in fondo la vita è un viaggio e il matrimonio è una parte fondamentale».

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