«Mi dica. Sono io la signora Vallanzasca».
Orgoglio, liberazione, speranza. C'è un valzer di sentimenti nella voce di Antonella D'Agostino, da lunedì Antonella Vallanzasca. Ci sono voluti quarant’anni. In mezzo è passato di tutto: gli anni della droga e della violenza, gli omicidi, il carcere, i processi, gli ergastoli che uno dopo l'altro seppellivano per sempre in carcere la storia del bel Renè, il più famoso gangster d'Italia. E Antonella, fuori, ad aspettare.
Come spesso accade nelle grandi storie d'amore, il finale è rapido. Sono le dieci di lunedì mattina, negli uffici del Comune di Milano in via Larga. Quasi nessuno fa caso all'uomo ormai anziano e ai suoi inconfondibili occhi blu, che a fianco di una bionda e a una piccola pattuglia di parenti si infila nell'ascensore che porta agli uffici dello Stato civile. Sotto le finestre scorre Milano, indifferente alle nozze dell'uomo che terrorizzava le sue strade, del bandito che popolava di incubi i sonni dei ricchi, vittime potenziali dell’Anonima sequestri.
Renato Vallanzasca sta pagando quel suo passato senza sconti né indulgenze. Una manciata di mesi fa, il presidente della Repubblica ha respinto la sua domanda di grazia.
Signora Vallanzasca, un matrimonio è soprattutto un atto di speranza. Ma che speranza può dare un matrimonio con un uomo che vivrà in carcere il resto dei suoi giorni?
«Ma come si fa a non avere speranza? Io la speranza non l’ho mai persa, in tutti questi quarant’anni. Non ho perso la speranza neanche negli anni più bui, quando Renato era sepolto nei carceri speciali, chiuso in cella ventiquattro ore su ventiquattro, senza poter comunicare con l’esterno. Sono passati quarant’anni e sono rimasta viva. E non credo che dovrò aspettare altri quarant’anni, no?».
Ma le prospettive di tornare libero per suo marito sono, per usare un eufemismo, esigue.
«Io non mi nascondo la realtà. Però so anche che le cose possono cambiare. È un momento delicato per la posizione di Renato, ci sono delle decisioni che i giudici devono prendere nei prossimi giorni e che potrebbero segnare una svolta. Per questo avremmo preferito che la notizia del matrimonio non trapelasse. Non certo perché non ne fossimo felici, o ci fosse qualcosa da nascondere. Ma in questo momento erano gli stessi giudici a invitarci a evitare qualunque clamore».
Difficile che restasse un segreto. Non capita tutti i giorni che si sposi l’ex pericolo pubblico numero uno.
«Eppure per quattro giorni nessuno ne ha saputo nulla. Ormai eravamo convinti che la cosa passasse sotto silenzio. Ma in effetti è già andata bene così».
Chi c’era racconta di una cerimonia veloce, quasi sbrigativa. Vallanzasca in giacca blu, la sposa in tailleur, un paio di familiari come testimoni. Il pomeriggio del giorno dopo, Vallanzasca è rientrato nella sua cella nel carcere di Opera, il grande penitenziario alle porte di Milano che lo ospita da qualche mese. E dove, al momento delle pubblicazioni, ha dovuto in gran segreto trasferire la propria residenza.
Eppure, signora, converrà che il vostro non è un matrimonio consueto. E che la gente normale si domanda cosa la abbia spinta a sposare un uomo segnato da un simile passato e da un simile futuro.
«Io la mia storia d’amore con Renato non l’ho mai nascosta, tanto che l’ho persino raccontata in un libro. L’ho conosciuto che eravamo ragazzi, e non ho mai smesso di volergli bene. Per decenni non ho potuto vederlo, ma gli sono stata amica, gli sono stata sorella. E dovrei rinunciare a essere la sua sposa, adesso che posso finalmente cominciare a vederlo? Lei mi chiede perché l’ho sposato, e io le do la risposta più semplice: nasce tutto dall’amore».
Eh sì, alla fine è solo una faccenda di amore. D’altronde, anche lui, il bel Renè, lo aveva detto a suo modo nel suo blog.
«Antonella, sei riuscita ad incastrare Renà», gli aveva scritto uno. E lui, dalla sua cella: «A ben valutare la situazione, oggi posso ben dire che avrei tanto voluto che mi incastrasse trentacinque anni fa!».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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