Roma Se perfino il segretario Udc Lorenzo Cesa lancia infuocati appelli per la partecipazione al voto sui referendum (da notare che l’Udc, a memoria d’uomo, è sempre stato un partito di ferventi nuclearisti e anche di ferventi astensionisti sui referendum), è chiaro che la posta in gioco il 12 e 13 giugno è tutta politica.
Posta grossa: in casa Pd qualcuno lo ha ribattezzato «il secondo colpo», e c’è la speranza che possa anche essere quello finale. Una spinta per buttare giù il premier, che «di sua volontà non lascerà mai Palazzo Chigi», come sottolinea Antonio Di Pietro.
Così ieri, quando la Corte di Cassazione ha fatto sapere che il quesito referendario sul nucleare resterà in piedi nonostante i tentativi del governo di svuotarlo di senso, a sinistra hanno reagito con grande entusiasmo. Certo, ammonisce Ermete Realacci, «la partita del quorum è difficile, se non proibitiva visti i precedenti degli ultimi 16 anni, ma stavolta il clima potrebbe aiutare». A confortare un cauto ottimismo è stato un sondaggio arrivato a inizio settimana (prima quindi che il quesito nucleare, considerato il più mobilitante, venisse riammesso), secondo il quale il 35% degli elettori ha già deciso di andare a votare, il 40% è incerto e solo il 25% è sicuro di non voler partecipare alla consultazione. Sulla carta, dunque, basta convincere un 15% di indecisi per avere il quorum, e la scontata vittoria dei sì. In casa Pd si conta molto sul «rimbalzo» dei ballottaggi e dell’ondata emotiva che hanno suscitato: «In tante città, a cominciare da Roma, non si è votato e c’è una gran voglia di poterlo fare, di poter mandare un segnale: i referendum saranno l’occasione», spiegano. Ben al di là della loro portata tecnica su centrali, acqua e legittimo impedimento: l’importante è poter «dare un segnale» a Berlusconi.
Dunque la speranza di potercela fare stavolta c’è. E mal che vada, se anche non si raggiungesse il quorum (le liste degli aventi diritto al voto su cui si calcola sono «truffaldine», denunciano da anni i Radicali, inascoltati anche a sinistra: zeppe di deceduti, trasferiti e di emigrati all’estero di quarta generazione, poco interessati alle bollette dell’acqua italiana), Pier Luigi Bersani è ben deciso a cavalcare lo stesso un risultato che porterà alle urne, si calcola, minimo un 40% di elettori, per poterci mettere il proprio timbro. E ha dato il via ad una campagna martellante col simbolo Pd: spot, uso a tappeto del web, manifestazioni. L’ultima a Roma, il 10, sarà lui a chiuderla. Se poi il quorum ci fosse, le opposizioni, Pd in testa, si preparano ad annunciare a gran voce che la maggioranza non esiste più e che il premier deve prenderne atto. Il tutto avverrebbe subito prima dell’appuntamento leghista di Pontida e del voto parlamentare sulla verifica: un cocktail potenzialmente esplosivo, che potrebbe aprire la strada alle elezioni anticipate auspicate dal leader del Pd.
Ma per quanto la posta in gioco sia, appunto, tutta politica, sia Bersani che Di Pietro e Vendola staranno ben attenti a evitare di calcare la mano su questo aspetto, facendo passare il referendum per l’Armageddon contro il Cavaliere: «Non gli faremo questo favore, dandogli modo di dire che ha vinto lui in caso di mancato quorum».
E poi c’è un altro motivo di cautela. Il capo di Rifondazione Paolo Ferrero lo dice chiaro, ma anche Pd e Idv lo sperano: «Attenti, che la Lega annusa una seconda sconfitta e non vuol restarci sotto: sui referendum potrebbe strappare da Berlusconi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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