Nucleare, dopo il referendum 20 anni di stop tra le polemiche

Con il loro voto gli italiani decisero, nel giugno 1987, di bloccare l'energia nucleare. Ecco le principali tappe della vicenda dall’inizio dell’uso del nucleare, negli anni Sessanta, alla "riapertura" del ministro Scajola

Nucleare, dopo il referendum 20 anni di stop tra le polemiche

Milano - L’Italia è pronta, nelle intenzioni del Governo, a ripartire sul fronte nucleare: dopo 21 anni da quel referendum che l’8 ed il 9 novembre del 1987 vide gli italiani dire "no grazie" all’atomo, il ministro per lo sviluppo Economico, Claudio Scajola, annuncia infatti che entro il 2013 sarà posta la prima pietra di un gruppo di centrali nucleari in Italia. Se le intenzioni riusciranno a tradursi in realtà, per la pensiola di tratterebbe di un "ritorno": per venti anni il paese ha avuto centrali nucleari e prodotto energia dall’atomo. Ecco le principali tappe della vicenda dall’inizio dell’uso del nucleare, all’addio del 1987 fino alla riapertura arrivata oggi:

Vent'anni di nucleare Per circa vent’anni l’Italia, dal 1960 al 1980, ha prodotto e utilizzato energia nucleare grazie a quattro centrali elettronucleari ex Enel (Caorso, Trino Vercellese, Garigliano e Latina) e di altri impianti nucleari ex Enea del ciclo del combustibile.

Nucleare? No grazie Anche sull’onda emotiva dell’incidente di Chernobyl, avvenuto nell’aprile del 1986, l’Italia decise di affidare la scelta sul nucleare ad una consultazione popolare. Il referendum abrogativo si tenne l’8 e il 9 novembre e vinse il sì all’addio all’atomo con oltre il 71%.

Le scorie, la Sogin In seguito al referendum iniziò un programma di dismissione delle centrali nucleari. Ma per lungo tempo fu sostanzialmente eluso il problema delle scorie. Nel 1999 fu disposto un piano strategico e definito un accordo di programma con le Regioni. Parallelamente, fu affidato a Enel il compito di costituire la Sogin, società per lo smaltimento delle centrali elettronucleari dimesse, la chiusura del ciclo del combustibile e le attività connesse e conseguenti.

Il caso Scanzano Nel novembre 2003 il governo approva il cosiddetto decreto "Scanzano", in base al quale tutti i rifiuti e i materiali nucleari esistenti in Italia vengono sistemati in un deposito nazionale geologico (e non di superficie) da realizzare nel comune di Scanzano Jonico, in Basilicata. La decisione provocò dure reazioni politiche e da parte delle comunità locali e degli ambientalisti, fino al fallimento dell’operazione.

Le scorie vanno in Francia La scorsa legislatura ha deciso trasferire all’estero il combustibile irraggiato, anzichè stoccarlo temporaneo nei siti con un accordo tra Sogin e Areva che, al termine di una gara internazionale, prevede che 235 tonnellate di rifiuti vengano inviate in Francia.

Già 13 anni fa riprese il dibattito L’allora ministro dell’industria Alberto Clò dice che l’Italia è pronta a riaprire al nucleare: "Abbiamo intenzione - annunciò nel 1995 - di riprendere il discorso, mai chiuso completamente, su basi nuove, con nuove capacità di ricerca e nuove tecnologie".

Enel rientra nel settore all'estero Due anni fa il gruppo elettrico italiano decide di tornare nel nucleare, ma all’estero, per riaquisire competenze. La società acquisisce una Sloveske Electrarne, società Slovena. Oggi il 12% dell’elettricità prodotta nel mondo dal gruppo è nucleare.

Scajola: entro 5 anni centrali in Italia Entro il 2013, la

fine cioè della legislatura, saranno avviati i lavori per la costruzione "di un gruppo di centrali di nuova generazione", annuncia dalla assemblea di Confindustria il ministro per lo sviluppo economico, Claudo Scajola.

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