Politica

Nullatenenti. Con un milione in banca

L’INCHIESTA L’ipotesi degli investigatori: quegli zingari facevano da «cassieri» della malavita organizzata

Roma Vivevano chiedendo l’elemosina, raccogliendo cartoni e pulendo i vetri delle auto ferme ai semafori. Un’attività normalissima per quattro rom, che in realtà possedevano un vero e proprio impero economico. La copertura è crollata solo ieri quando i carabinieri del Ros hanno fatto irruzione nel campo nomadi romano Casilino 900, il più grande d’Italia. E hanno sollevato il velo sull’attività illecita di tre donne, Fikreta e Azna Salkanovic, di 33 e 39 anni, Hasnija Ahmetovic, di 60 anni, e di un uomo di 32 anni, Sedat Prokuplja, tutti provenienti dalla ex Jugoslavia, che possedevano beni mobili e immobili, per oltre un milione di euro, auto di grossa cilindrata e 26 conti correnti bancari.
L’operazione è scattata su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, che ha incaricato i reparti territoriali dell’Arma di eseguire una serie di perquisizioni all’interno dell’accampamento più discusso della città. Così 150 carabinieri sono entrati in azione all’alba, sequestrando i beni. I nomadi, infatti, vivevano in una baracca e pur non esercitando alcun lavoro e non dichiarando redditi, disponevano di due appartamenti, a Nettuno e Rovigo, e di un patrimonio di ingenti proporzioni, con somme delle quali non sono stati in grado di giustificare la provenienza.
Un flusso di soldi consistente, circa due milioni di euro in un anno e mezzo e conti sui quali sono transitati movimenti di denaro per oltre un milione di euro. Il parco auto, invece, includeva 11 macchine di grossa cilindrata, tra berline di lusso e potenti Suv, provento probabilmente del riciclaggio e del reinvestimento di denaro sporco. Alle tre sorelle spettava il compito di depositare il bottino in banca e, per non farsi scoprire, usavano portare sotto lunghe gonne sacchi dell’immondizia colmi di banconote.
Nell’indagine del Ros, partita nel 2007, è coinvolto anche un noto Istituto di credito toscano, dove i quattro nomadi, sottoposti a sorveglianza speciale, effettuavano depositi e compravano titoli per svariate centinaia di euro. Inoltre avevano stipulato una polizza vita con una importante società di assicurazioni.
«Il sequestro dei beni – ha spiegato il colonnello Massimiliano Macilenti del Ros – è da inquadrare in interventi portati avanti per colpire patrimoni di organizzazioni criminali, mafiose e non, che si sono instaurate nella capitale. Per noi è importante bloccare il riutilizzo di denaro di provenienza illecita».
Il sospetto degli investigatori è che i quattro nomadi possano essere stati usati come cassieri, una sorta di ponte tra chi commetteva reati di varia natura e chi reimpiegava il denaro in altre attività. I carabinieri del Ros hanno infatti parlato di «reato presupposto» perché bisogna ancora scoprire da dove arrivassero quei soldi. Per fortuna presto il Casilino 900 resterà solo un ricordo. «Per la chiusura dell’accampamento abbiamo tempi tecnici che dobbiamo affrontare – spiega Gianni Alemanno –. Con il Prefetto tra pochi giorni presenteremo il piano, faremo anche un confronto con le associazioni di volontariato del territorio.

Ma bisogna accelerare il più possibile».

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