Politica

NUOVA BABILONIA

All'interno dell'Unione si sono fatte subito sentire le voci che chiedono il ritiro dall'Afghanistan. Non è una novità. Da quando Prodi siede a Palazzo Chigi la questione torna periodicamente in primo piano. La sinistra antagonista, incassata l'archiviazione di «Antica Babilonia», non ha mai rinunciato a cercare di imporre il proprio marchio sulla maggioranza cancellando la prima risposta data all'11 settembre. Ora è di nuovo all'offensiva, mostrando un attaccamento morboso alla cultura non tanto del pacifismo, quanto più direttamente del cedimento. Infatti può essere definito solo cedimento pensare e dire che, di fronte all'attacco terroristico, la risposta deve essere quella di andarsene, di tornare a casa, di non reagire all'offesa e alla minaccia.
Mostrando anche - questo va ricordato - un'estraneità alle scelte di fondo che hanno caratterizzato la storia repubblicana: penso alle Nazioni Unite, a Kabul siamo su mandato dell'Onu; penso alla Nato, impegnata sul terreno; penso all'Europa, visto che contro l'insorgenza dei talebani e della rete di Bin Laden sono in azione anche governi come quello di Zapatero. Non è un problema di misura di scelte di politica internazionale. C'è molto di più: una parte della maggioranza si sente estranea a quel patto costituzionale grazie al quale l'Italia si è collocata in un sistema di alleanze e in un quadro di valori. Ha fatto bene ieri a ricordarlo il presidente Giorgio Napolitano, sottolineando il valore dell'impegno in un teatro di guerra contro chi attacca tutti i simboli dell'Occidente.
Ora, invece, gli extraparlamentari di una volta stanno diventando extracostituzionali. Hanno superato il confine. Se ne è reso conto il vicepresidente del Consiglio Francesco Rutelli il quale, dopo un lungo silenzio sulle questioni mediorientali, ha posto un altolà, capendo che sulla missione in Afghanistan non è accettabile alcun scivolamento verso la sola idea di una neutralità fra offensiva terroristica e sostegno ai difficili e contrastati sforzi del nuovo regime di Kabul. Ma basta questa reazione? L'immagine è che l'Italia abbia oggi un doppio governo. Uno si muove con la pancia del pacifismo senza se e senza ma, l'altro cerca una discontinuità con le scelte degli ultimi cinque anni, restando però all'interno delle storiche alleanze. Quale dei due è più forte?
La sinistra antagonista ha potuto chiedere ieri il ritiro dall'Afghanistan con tanta forza - e tornerà certamente a farlo - non solo perché si tratta di una costante della sua identità politica, ma soprattutto perché i suoi argomenti sono oggi più consistenti proprio grazie all'ideologia da cui in questi mesi sono state avvolte le scelte dell'Unione. Il ritiro dall'Irak è suonato anche come una critica alla missione in Afghanistan. L'esaltazione del multipolarismo è la contestazione aperta della risposta che non l'America di Bush, ma vaste coalizioni hanno dato, sempre con il timbro dell'Onu, all'attacco fondamentalista. Lo sbarco a Tiro è stato presentato in una visione secondo la quale il problema non è disarmare Hezbollah, ma arginare Israele. Il programma nucleare iraniano, cioè la svolta della crisi mondiale, non è nell'indice delle priorità di Palazzo Chigi e della Farnesina.
È questa enfasi che ha legittimato Verdi, Rifondazione, neo-comunisti e li ha resi più forti.

Se tutto, dal Kosovo in poi, è un errore, se il problema è quello di spezzare la spirale guerra-terrorismo e non di fermare il fondamentalismo, se all'origine della crisi globale c'è Bush e non Bin Laden e non Ahmadinejad, ancora una volta quella che si presenta come sinistra riformista e moderna non fa altro che spianare la strada all'antagonismo.

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