da Milano
È la voce impaziente di Gianna Nannini a riportarci Dante, come prologo di Pia come la canto io, opera in cui lartista senese ripercorre la penosa istoria della dama de Tolomei, rinchiusa dal marito in un castello maremmano per un adulterio mai commesso, e qui morta di solitudine, afflizione e malaria. «Ricordati di me che son la Pia / Siena mi fé, disfecemi Maremma», scandisce dunque la Gianna allinizio dellalbum, appena uscito, reiterando gli endecasillabi che il ghibellin fuggiasco dedicò allinfelice nobildonna. Il resto lo fanno le strofe in ottava rima di Pia Pera e il piglio del rock frammisto a echi depoca, esaltati dalle orchestrazioni condivise con Wil Malone: le polifonie preziose di Mura mura, ad esempio, per raccontare la desolazione di Pia prigioniera, il rimpianto per il marito ingrato, la precognizione della morte. Oppure il quadretto impressionista di Non cè più sole, quelle tinte perlacee che lasciano lievitare il pathos trattenendolo sul ciglio dellenfasi. O ancora lavvio popolaresco e il ritmo furente di Le corna, e il rock aspro del Contrasto, ove tra le voci di Gianna e del tenore macedone Toshe sinsinuano campionate le Strofe livornesi contro la guerra di Caterina Bueno.
Più che a uno scampolo di storiografia medievale, siamo al cospetto dun moderno melodramma dove i temi della prevaricazione maschile, della calunnia, della gelosia assassina alludono al fosco scenario dun mondo «pieno di conflitti - dice lautrice - come quello in cui viviamo: tanto che, finito il lavoro, allenorme tensione è seguita una forte depressione». Lopera, nel 2008, darà luogo a uno spettacolo - «stiamo cercando gli interpreti» - prodotto da David Zard con la regia di Fabio Lionello, entrambi sedotti dai testi icastici di Pia Pera, che riambientano la vicenda antica in un clima dattualità, e ovviamente dalla musica e dalla strabiliante interpretazione della Nannini, proiettata oltre i confini del rock dai rimandi duna cultura che dalla musica popolare ascende alla melodia pucciniana e a Wagner, Debussy, Kurt Weill. Donde, ancora, le fanfare di Testamento e il galoppo felpato di Settimanima, linvettiva sconvolta di La gelosia e alla fine, consumandosi la tragedia, lo straniamento attonito di Meravigliati boschi, con quei suoni da carillon ad annunciare «il sospir della natura / antiveggente la di lei sciagura».
Come sei approdata a Pia de Tolomei?, chiedo. E lei: «Approdata? Mi ha espropriato fin da bambina, grazie alla tradizione orale, ai canti di Maremma, al poeta carbonaro Bartolomeo Sestini. Pia era senese come me, e questopera è infatti una dedica totale alla mia città». La Pia è stata scritta undici anni fa, ma da molto prima «bussava alle mie corde vocali. Solo che era difficile farla accettare dai discografici, finché Zard si è innamorato dellidea. Come definirla? Non potevo scrivere unopera classica, dopo aver deviato verso il rock la mia formazione da conservatorio. Allora diciamo che sono andata oltre il rock e il punk, verso un Bruscello pop che si avvale dei consigli di Caterina Bueno e che ho contaminato con spunti di diversa natura, così da non appiattirmi sulla musica etnica che tende a reiterare il passato. Ho utilizzato suggestioni nepalesi, iraniane, khmer, campionamenti svariati, colori della tradizione contadina e per contro ritmi attualissimi».
Per musicare il libretto di Pia Pera la Gianna è andata ad abbeverarsi «al castello maremmano dove la Pia morì, ne ho colto lenergia e ho tradotto tutto questo in musica, senza passare dal pianoforte, lavorando sul computer per arrivare alla melodia dalle parole, dai suoni, dagli arrangiamenti, in modo così totalmente istintivo che oggi, riascoltando, mi viene da chiedermi come ho fatto».
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