La nuova razza padana gioca le sue carte sulla scommessa Snai

Dietro al passaggio di Snai all’inedita alleanza nel private equity tra Investindustrial e Palladio Finanziaria ci sono i capitali e la voglia di contare di più di una nuova razza padana. La fortunata definizione risale alla fine del secolo scorso, quando a sorpresa i capitali per scalare la Telecom furono trovati dalla Hopa di Chicco Gnutti, che raccolse i risparmi accumulati nel tempo da molti operosi imprenditori padani. Ed era la prima volta, dopo cinquant’anni di finanza dominati da Mediobanca e dalle grandi famiglie, che qualcuno era pronto a tirare fuori capitale «vero» per investire da protagonista nel sistema-Italia. Le cose sono andate poi in maniera controversa, forse anche perché gestite male. Ma rimase l’impressione che dal tessuto imprenditoriale del Nord e Nord-Est potessero svilupparsi finalmente nuove iniziative. Ora sembra di essere di fronte a nuovi campioni di quel modello, che si muovono - se possibile - con ancor maggiore riservatezza. Se la Investindustrial è la società di Andrea Bonomi, «erede» dei salotti della borghesia milanese che ruotavano intorno alla Bi-Invest della nonna Anna Bonomi Bolchini, Palladio è infatti il forziere di Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago che custodisce denaro e aspirazioni degli imprenditori del Nord-Est. Si tratta di una nuova classe di banchieri e medi imprenditori, distante nello stile da quella a suo tempo raccolta da Gnutti attorno alla Hopa, ma altrettanto concreta e attenta ai grandi giochi di potere che ruotano intorno a Piazza Affari.
Palladio è già da qualche tempo uno dei soci delle Assicurazioni Generali, in recente simbiosi con la Fondazione Crt di Fabrizio Palenzona: il pacchetto arriva al 3,6%, considerando anche il 2,2% di Effeti, la joint venture tra l’Ente torinese e il veicolo Ferak, a sua volta partecipato appunto da Palladio, Finint, Veneto Banca, le famiglie Zoppas e Amenduni. Un modello, banche-imprenditori, non distante da quello che sostiene la stessa Palladio, fondata nel 1982 da Meneguzzo e raggiunto sei anni dopo da Drago. Oltre a loro (il 59,5% del capitale è in mano al management) ci sono da un lato Veneto Banca, Banco Popolare e Monte Paschi, dall’altro esponenti della media imprenditoria che forma l’ossatura del nostro sistema industriale: dalle famiglie Spillere di Vicenza, titolare delle saldatrici Telwin, Bocchi (veronesi e fondatori di una delle maggiori realtà in Europa per il trading di frutta e fiori poi ceduta), Bernardi (trevigiani ed ex proprietari della catena di supermercati «Vivo») e Ricci, gli immobiliaristi milanesi cui faceva capo il panettone «Le Tre Marie». In ogni caso denaro vero, visto che Palladio dichiara di avere a disposizione mezzi per 2,5 miliardi a fronte di un asset value pari a 600 milioni.
Capitali che nell’operazione Snai si incrociano con quelli di Investindustrial. Al gruppo di Bonomi fanno capo 15 aziende, di cui sei spagnole, per un fatturato aggregato di 5,9 miliardi di dollari.

A partire da realtà come Ducati e Parmasteelisa, divenute simbolo del made in Italy in tutto il mondo grazie rispettivamente alle moto e alle soluzioni di design architettonico. Ma l’acquisto di Snai apre potenziali sinergie con un’altra partecipata di Bonomi, la «telematica» Cogetech, operativa come Snai nel mondo dei giochi.

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