Cultura e Spettacoli

La nuova sfida di Barbra un disco d’oro a 63 anni

Appena uscito l’album, che contiene canzoni inedite, è già balzato al quinto posto negli Usa

La nuova sfida di Barbra un disco d’oro a 63 anni

Antonio Lodetti

da Milano

La bellezza non conta se ci si chiama Barbra Streisand. Non si può certo definirla una «pin up». Da piccola, nella scuola ebraica di Willoughby Street, a Brooklyn, i compagni la chiamavano «mieskeit», ovvero sgorbio. Lei, secca come un chiodo, orecchie a sventola e occhi che andavano ognuno per la sua strada, subiva e masticava amaro. Poi la rivincita, che ha trasformato il ranocchio Barbra in Miss Barbra Streisand, la cantante dalla voce più elegante e abbagliante uscita dalla Broadway anni Sessanta, l’attrice (la regista) e la donna che ha fatto girare la testa a Elvis Presley (la leggenda narra che Elvis si inginocchiò davanti a lei, le mise lo smalto alle unghie e poi passarono una notte intera chiusi in un hotel di Las Vegas), Omar Sharif, Ryan O’Neal, Elliott Gould (suo primo marito), il cantautore «outlaw» Kris Kristofferson, persino Bill Clinton e André Agassi, fino all’ultimo matrimonio con James Brolin. Come interprete femminile non ha rivali, non c’è Celin Dion o Cher che tenga; con una quarantina di dischi d’oro all’attivo, lotta con Elvis, i Beatles e i Rolling Stones per conquistare il ruolo di bestseller di tutti i tempi.
Ora a 63 anni ci riprova con Guilty Pleasures - il nuovo album in coppia con l’ex Bee Gees Barry Gibb - che, appena uscito, è entrato al quinto posto delle classifiche americane e al quarantunesimo della nostra hit parade. Pop moderno, elegante e di classe, così come il precedente «misfatto» della strana coppia Streisand-Gibb, quel Guilty che 25 anni fa (con brani come Woman In Love e Run Wild) ha venduto 12 milioni di copie e oggi esce in versione speciale cd-dvd con i video dal vivo di brani come What Kind Of Fool e interviste ai protagonisti.
Un doppio ritorno quindi; alle canzoni inedite (a due anni da The Movie Album, raccolta di celebri musiche da film) e ai duetti con il pirotecnico Gibb. «Non avrei mai pensato di lavorare ancora con Barry - racconta la Streisand -. Le atmosfere magiche di un album come Guilty difficilmente si ripetono. Venticinque anni fa fu un’esperienza splendida, però ora avevo bisogno di nuove canzoni, sentivo la nostalgia del tipo di musica che fa Barry. Così, senza pensarci troppo, gli ho telefonato. La nostra è un’eterna lotta tra amici: chi ci mette più passione vince».
«Io l’ho richiamata alle otto del mattino - ricorda Gibb -. Ero indeciso perché incidere un disco oggi è una grossa responsabilità e ormai mi ero abituato all’idea di essere un semipensionato. Poi però abbiamo pensato a qualcosa di simile ma non uguale a Guilty, qualcosa di nuovo, ritmato e vivace che divertisse il pubblico e noi stessi». Così Gibb ha scritto tutti i brani (dal sofisticato lento Hideaway ai toni disco-rock di All the Children) e ha duettato con lei in Come Tomorrow e Above the Law. Non solo suoni raffinati e canzoni d’amore eseguite con sentimento ed esuberanza teatrale.
Ricordando le sue battaglie politico-sociali (a partire dal suo impegno attivo contro la guerra del Vietnam, al suo infuocato discorso di protesta alla Harvard University «L’artista come cittadino») la Streisand intona Stranger In a Strange Land contro la guerra in Irak. «Volevamo ricordare l’assurdità della guerra, le storie di soldati lontani che non hanno nessuno vicino. È una canzone di solidarietà», sottolinea Barbra. L’ex «funny girl» si rinnova ma non cambia stile. «Io amo il jazz e il bel canto e il mio stile punta a fondere questi stili con la musica leggera di classe. Esiste il pop per ragazzini e quello per adulti: Guilty Pleasures è un disco di pop elegante per un pubblico che ama le belle ballate».


Un altro successo annunciato per la «sophisticated lady» che ci guarda con aria ammiccante dalle copertine di Guilty e Guilty Pleasures come se non fossero passati venticinque anni dall’uno all’altro disco, come se le prime serate nei localini del Greenwich Village (nel 1960), a cinquanta dollari la settimana, fossero un brutto e lontano incubo dopo i fasti del successo e i cachet astronomici dei suoi ultimi concerti a Las Vegas (10mila dollari nel 2000 per lo spettacolo d’addio ai concerti dal vivo).

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