Non l«uomo» Lorenzo de Medici; non l«uomo» Leonardo; non l«uomo» Borgia. È tempo di indagare sull«uomo» del Rinascimento, con tutta la prudenza che il generalizzare in astratto, il procedere per categorie, i troppo comodi schemi debitamente sollecitano.
Quali le coordinate spazio-temporali per ingabbiare un soggetto storico di tale portata? Le città-stato italiane, tra i due secoli doro, 400 e 500, forniscono un quadro davvio, anche se lo sguardo dovrà poi spaziare allEuropa: questa è la risposta di uno specialista, Eugenio Garin, nel suo Luomo del Rinascimento, in edicola da domani con il Giornale, un «uomo» visto sullo sfondo della sua matrice, lindividuo del Medioevo, ma soprattutto come linea guida verso il suo naturale erede, il cittadino europeo. Garin lavora con il metodo dei contributi, convocando gli esperti a delineare i tipi emblematici, dal principe al cardinale, dal banchiere allartista, dal cortigiano al viaggiatore, firmando egli stesso, magistralmente, un apporto che si candida a centro di gravità del lavoro, le pagine sul filosofo e il mago.
Nel filosofo si coglie con maggior lucentezza la prerogativa rinascimentale: il bruciarsi i ponti alle spalle, il mutamento dinamico. Liniziatore è un uomo che di medioevale ha solo lanagrafe: Petrarca. Per la totalità della sua opera di autore e dintellettuale, varrebbe, a titolo e suggello, quanto Montaigne scrisse in testa ai suoi Essais, verso lo scadere del XVI sec.: «Lettore, sono io stesso la materia del mio libro». Liberata dal carcere della sagrestia e dellaula accademica, dove gli scolastici la esercitavano come stilizzato commento alle verità aristoteliche, aromatizzate di incenso, la filosofia ha con Petrarca il primo colpo dali della ricerca incessante, non di parole appassite nelle cartapecore dei dogmi, ma delle esperienze umane. La trasformazione è nel definire ignorantia il sapere fossile delle formule immutabili, e sapienza lo scavo, a fin di bene, e di civiche virtù, nel tesoro dumanità che la natura ammassa in ciascuno di noi.
Lo strappo con il passato prossimo medioevale coincide con la riconquista dellatteggiamento classico, di un Democrito, di un Socrate, maestri di logiche non formalistiche, ma di una pedagogia degli spiriti che tende allindipendenza interiore, al dialogo persuasivo, alla verità concepita come bene morale e politico condiviso. Il filosofo si riappropria della sua missione di modello docente della comunità. Ma perché anche mago? Perché come Ficino, impregnato di platonismo, di ermetismo e cabala, o come Pico, che sulla scia di Lucrezio percepisce nel cosmo la vibrazione di fondo dellamore, il filosofo aspira a «maritare il mondo», a sfruttare gli occulti rapporti tra le forze della natura per ottenere profitti inauditi.
Quando il calcolo matematico e la razionalità dellesperienza controllata faranno la loro parte, entreranno in scena i Galileo, e scoccherà lora della scienza rivoluzionaria. La natura è la caverna davanti alla quale meditano e sperimentano i tre filosofi del noto dipinto di Giorgione (lanalisi radiografica ha mostrato che il tracciato originale era dei tre Magi, decifranti la cometa), quella stessa che, riaffiorando dalla memoria di Platone, scuote Leonardo con la paura della minacciosa spelonca, mista al desiderio di esplorare il miracolo ancora avvolto di tenebra.
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