Nuove accuse Usa all’Iran: «Ora invia armi ai talebani»

Secondo l’intelligence americana gli ayatollah metterebbero in secondo piano la storica rivalità con Al Qaida

Il flusso delle armi dirette dall’Iran all’Afghanistan, che arrivano ai talebani, è aumentato sensibilmente. Alcuni esponenti di spicco dell’amministrazione americana sostengono che gli ayatollah al potere a Teheran hanno ordinato l’invio, che farebbe parte di un piano di destabilizzazione anti americano in Irak e in Afghanistan. Altri sono più cauti nell’accusare direttamente i vertici iraniani, ma una delle zone più infiltrate dagli agenti di Teheran è sicuramente quella di Herat, dove ha sede il comando italiano della zona ovest dell’Afghanistan.
Mercoledì scorso il sottosegretario di Stato americano, Nicholas Burns, ha dichiarato in un’intervista alla Cnn che esistono «prove inconfutabili» del coinvolgimento iraniano nelle forniture di armi ai talebani. Secondo Burns all’origine del traffico ci sarebbe «il comando del corpo dei Guardiani della rivoluzione che è un'unità fondamentale del governo iraniano». Le pesanti affermazioni seguono la scoperta in Afghanistan di ordigni ad alta penetrazione, simili a quelli utilizzati in Irak, che secondo gli esperti Usa provengono dall’Iran. Le trappole esplosive, che riescono a penetrare le corazze più spesse, sono le stesse utilizzate lo scorso anno contro i nostri soldati a Nassirya.
Ieri, sul New York Times, l’ex capo della Cia e attuale segretario della Difesa Usa, Robert Gates, è stato più cauto, ma ha ammesso che secondo gli ultimi rapporti di intelligence il flusso di armi dall’Iran verso l’Afghanistan sta aumentando. «Rispetto ai dati sulle quantità che ho visto - ha aggiunto Gates - è difficile credere che il traffico sia associato ai contrabbandieri di droga o che possa avvenire senza che il governo iraniano ne sia a conoscenza».
Teheran respinge seccamente le accuse sostenendo di avere buoni rapporti con il governo afghano e facendo notare che i talebani sono estremisti sunniti, che non vedono di buon occhio gli sciiti iraniani. Quando i talebani erano al potere l’Iran ha rischiato una guerra con l’Afghanistan, ma ora i tempi sono cambiati. I Guardiani della rivoluzione temono l’accerchiamento degli americani presenti in forze ai loro confini, sia in Irak che in Afghanistan. In vista di un braccio di ferro sempre più duro sul nucleare i servizi stanno preparando il terreno per eventuali rappresaglie anti Usa in caso di bombardamenti contro i siti atomici. Il ministro della Difesa afghano, Abdul Rahim Wardak, ha in parte smentito i timori americani. «Ci sono prove del passaggio di armi - ammette il ministro - ma è difficile collegarle all’Iran: potrebbero venire da Al Qaida, dalla mafia della droga o da altre fonti». La zona più a rischio è quella della provincia di Herat che confina con l’Iran, dove si trovano circa mille uomini del contingente italiano in Afghanistan. Fra questi uno sparuto nucleo di finanzieri che deve addestrare la polizia di frontiera afghana. A Herat e dintorni sono stati sequestrati spesso armi ed esplosivi provenienti dall’Iran. Lo scorso anno il capo della polizia locale, Ahmed Ansari, aveva candidamente dichiarato che «l’Iran è un vicino pericoloso. Sappiamo che i terroristi vengono addestrati sia in Iran che in Pakistan e noi ci troviamo in mezzo».
Il problema è che il 56% della popolazione rurale della provincia crede alla versione delle notizie internazionali fornita dalla tv iraniana, secondo i sondaggi dei nostri reparti Psyops per la guerra psicologica.

L’infiltrazione iraniana è capillare e a tutti i livelli. In un complesso per ufficiali di polizia, 120 chilometri da Herat, subito dopo l’elezione del presidente iraniano, sono apparsi graffiti che auspicavano «Lunga vita ad Ahmadinejad».

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