Di fronte ai magistrati, Valentino Rossin ha parlato. Ha collaborato con la Procura, contribuendo a ricostruire la struttura e i piani del «Partito comunista politico-militare». Per gli inquirenti, le nuove Brigate Rosse. Si è smarcato dal gruppo di 14 persone finito in manette il 12 febbraio del 2006, sostenendo di essere «un pacifista», e di aver abbandonato la politica da anni. E ieri, per il 36enne originario di Conselve in provincia di Padova - già agli arresti domiciliari - è arrivata la sentenza. Il giudice per le udienze preliminari Marina Zelante lo ha condannato con rito abbreviato a 3 anni e 4 mesi di reclusione per partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata e detenzione di armi.
È la prima sentenza per le «nuove Br», e arriva in applicazione della legge 29 del maggio 1982, quella sui pentiti, che prevede la riduzione di un terzo della pena per gli imputati che mostrino piena collaborazione. In questo caso, il pm Ilda Boccassini - titolare dellindagine - aveva chiesto una pena addirittura più lieve (2 anni) rispetto a quella poi decisa dal giudice, proprio in ragione del contributo offerto da Rossin nel corso dellinchiesta.
Le confessioni dellex postino padovano, che secondo gli inquirenti aveva il compito di custodire le armi e le munizioni del gruppo, sono state decisive per mettere la Procura sulle tracce di altri due presunti neobrigatisti, Andrea Tonello e Giampietro Simonetto. Subito dopo il suo arresto, Rossin, ex custode delle armi del gruppo eversivo, aveva chiesto di poter essere messo in contatto col personale della Digos di Padova perché, scriveva il gip Guido Salvini nellordinanza di custodia cautelare, «era sua intenzione indicare con precisione il luogo di occultamento delle armi» seppellite allinterno di un casolare nel Padovano. Alcune di quelle armi, si era poi scoperto, arrivavano direttamente dalla «Walter Alasia», la colonna milanese delle Br attiva fino al 1982.
Al termine delludienza, Giuseppe Balduin - legale di Valentino Rossin - si è detto «moderatamente soddisfatto». «La condanna è stata mite rispetto ai reati contestati che potevano prevedere pene più severe. Aspettiamo le motivazione, valuteremo se fare ricorso in appello».
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