Le nuove Calliope e Clio? Mogli, figlie e... Pasolini

Nei secoli passati per gli artisti erano incarnazioni del Divino. Oggi sono persone amate o da celebrare

Le nuove Calliope e Clio? Mogli, figlie e... Pasolini

Ma esistono ancora le muse nel mondo dell'arte? Possibile? Queste figure così romantiche in questi tempi così meccanici? La musa ha vissuto l'ultima stagione d'oro coi surrealisti, fino a Gala (Salvador Dalí) e Kiki de Montparnasse (Man Ray), poi ha cominciato a barcollare, col dilagare dell'astrattismo direi, per inabissarsi con l'arte concettuale e dunque dopo Edie Sedwick (Andy Warhol) e Marta Marzotto (Renato Guttuso).

Riemerge oggi grazie a Fabia Mendoza, autrice di Berlin Art Diary. Cronache di una Musa (Iemme Edizioni), moglie tedesca del pittore americano Ryan Mendoza (attualmente la coppia vive in Sicilia, giusto per dirne il cosmopolitismo). A dispetto del titolo, il libro contiene sia episodi berlinesi che siciliani, ma i primi sono più gustosi perché descrivono un ambiente artistico corrotto come ai bei tempi: «Ryan esplose di rabbia, lasciando la villa del gallerista dopo che quest'ultimo propose uno scambio di fidanzate durante una cena a tarda notte. Il giorno seguente, il nome di Ryan fu cancellato dalla lista degli artisti della galleria». In un'occasione la proposta dal profumo di ricatto proviene da una donna, da una collezionista che intende mescolare arte e vita mescolandosi all'artista e alla sua musa: «Posò il suo bicchiere, mi guardò dritta negli occhi e disse: Ok, ora scopiamo!». L'equivoco in cui cade l'orgiastica signora è comprensibile, intorno alle muse ha sempre aleggiato la lussuria. Le muse di Andy Warhol probabilmente non finivano nel suo letto, visti i gusti del grande artista pop, ma in molti altri casi ci finivano eccome (mi limito a ricordare i disegni kamasutrici di Francesco Hayez con Carolina Zucchi). Se non tutte le muse sono amanti, non tutte le muse sono modelle e proprio Fabia Mendoza, nelle numerose foto che corredano il libro, non appare mai dentro i quadri ma sempre davanti (spesso anche poco vestita: un po' distraente, magari).

E allora che cos'è, di preciso, la musa? Secondo Nicola Verlato, pittore molto attrezzato filosoficamente, questa figura fornisce ispirazione all'interno di un rapporto interpersonale mentre in precedenza, al tempo delle Muse con la M maiuscola, le figlie di Zeus e Mnemosine, il rapporto si sviluppava fra l'artista e il Divino. In effetti è impossibile non ravvisare una certa decadenza fra Calliope, invocata da Omero all'inizio dell'Iliade («Cantami, o Diva, del pelide Achille...») e Caroline, la prostituta ventenne, inoltre incarcerata per furto, che fu protagonista, una presenza ossessiva, dell'arte di Alberto Giacometti dal 1960 alla morte del maestro. Verlato non corre di questi rischi perché utilizza, in qualità di muse, star mediatiche, personaggi che non ha mai conosciuto personalmente: Madonna, Michael Jackson, Pasolini... Ma c'è chi non va lontano per procurarsi l'ispirazione e penso, per quanto riguarda l'arte italiana vivente, allo scultore Giuseppe Bergomi e ai pittori Daniele Vezzani e Federico Lombardo. Le loro sono muse domestiche: le figlie per Vezzani e Lombardo, la moglie, le figlie e adesso anche i nipoti per Bergomi che a questo suo mondo-modo ha dedicato perfino una mostra («Cronaca e mitologia familiare»).

Fra gli artisti italiani da me interpellati, credono nell'esistenza delle muse Marco Cornini, che ringrazia l'ispiratrice di una recentissima, toccante Maternità in terracotta policroma, Daniele Galliano che ricorda il «furore creativo che ci invade amando una donna», Giovanni Iudice per il quale una modella «fu il centro dell'universo», e Roberto Ferri («Senza di lei i miei dipinti sarebbero vuoti»), e Dario Nanì, la cui musa è un ragazzo di nome Elia, conosciuto su una spiaggia ionica. Guarda caso nella stessa Sicilia orientale in cui vive Fabia Mendoza, che però, procedendo nella lettura di Berlin Art Diary, si rivela molto meno romantica degli artisti succitati. Moltissimo meno. Avrebbe dovuto mettermi in guardia la prefazione, firmata da una femminista tedesca: «Le storie delle prossime pagine sono un chiaro tentativo di emancipazione. Da ragazza a donna. Da musa ad artista. Da madre a essere umano». A parte il fatto che anche le madri sono esseri umani (solo una femminista tremenda poteva concepire la maternità come uno stadio inferiore), sono parole che riassumono bene il libro.

A un certo punto il rapporto fra i coniugi Mendoza sembra capovolgersi e lui diventa quasi la musa di lei, tutta impegnata a mettersi al centro dell'attenzione e a costruirsi una carriera come documentarista: «Ryan ora prepara la colazione tutte le mattine, facendomi un buon cappuccino e pulendo la cucina prima di mettere piede nel suo studio». Mai Pablo Picasso si sarebbe fatto trattare così da Dora Maar.

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