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Nuove imprese, la carica delle 80mila

Chiude in attivo nel 2005 l’anagrafe dell’imprenditoria italiana. Accelera il Sud

da Milano

Saldo attivo nel 2005 per l’anagrafe dell’imprenditoria italiana. L'anno si è chiuso infatti con 80.277 nuove imprese in più, di cui un terzo (26.933 aziende) è stato aperto da extracomunitari. Il tessuto economico italiano si trasforma, diventando sempre più robusto: ben 47mila «nuove nate» sono società di capitali, cresciute in dodici mesi del 4,5%. A tracciare il quadro è il Rapporto «Movimprese 2005», condotto in collaborazione da Unioncamere e Infocamere. Il saldo attivo, dunque (che corrisponde a un tasso di crescita della base imprenditoriale dell’1,34%), è il risultato della differenza tra le 421.291 aziende che tra gennaio e dicembre dello scorso anno si sono iscritte al Registro delle Imprese delle Camere di commercio e le 341.014 che, nello stesso periodo, si sono cancellate.
Superato così il muro dei 6milioni di imprese registrate (alla fine di dicembre erano 6.073.024), 2 milioni sono al Sud. Delle nuove aziende, infatti, 32mila (il 40%) hanno aperto i battenti nelle regioni del Mezzogiorno, e la crescita più veloce è stata in Calabria (più 2,42% il tasso di crescita, quasi doppio rispetto a quello nazionale). Costruzioni ( più 29mila unità), servizi alle imprese (più 25mila) e commercio (più 11.500) sono i settori più dinamici; agricoltura (meno 9mila aziende) e industria (meno 800) chiudono invece l'anno in rosso.
Ma anche nei settori tradizionali - si legge nel rapporto - si scorgono segnali confortanti: aumentano infatti le imprese che si riconvertono ad attività più innovative.


«Il ritratto che abbiamo davanti - ha detto il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli - alla fine di un anno ancora difficile, com'è stato il 2005, ma in cui si sono avvertiti i primi segnali di ripresa, è quello di una generazione di imprenditori sempre più consapevole che per competere bisogna rapidamente salire di livello e proporre un Made in Italy nuovo, dove alla creatività si aggiunge la capacità di gestire reti e filiere produttive, di investire di più nella ricerca e nel capitale umano».

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