Le nuove sfide della cardiochirurgia

La mortalità per infarto del miocardio è diminuita negli ultimi venti anni del 30% mentre la mortalità per scompenso cardiaco nello stesso periodo è raddoppiata. «Le malattie cardiovascolari rappresentano se pur con un trend in diminuzione la prima causa di morte nelle società occidentali. Il tipo di patologia all'interno del sistema cardiovascolare si sta modificando in modo consistente: osserviamo una diminuzione delle morti in fase acuta per registrare un aumento dei decessi in situazioni croniche come appunto lo scompenso cardiaco. I pazienti sopravvivono di più all'infarto, ma la sopravvivenza porta spesso con sé una diminuzione della capacità contrattile del cuore che, con il tempo determinerà una disfunzione più importante del ventricolo, origine appunto dello scompenso cardiaco».
Con queste parole Lorenzo Menicanti indica i grandi cambiamenti che stanno avvenendo nelle patologie cardiovascolari. Tra i cardiochirurghi europei Menicanti è uno dei più apprezzati. Dirige da anni a Milano la seconda divisione di cardiochirurgia del Policlinico San Donato, Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Ha eseguito con la sua équipe oltre 25mila interventi a cuore aperto, cioè con circolazione extracorporea. Sul piano scientifico internazionale è considerato all'avanguardia per il rimodellamento del ventricolo sinistro del cuore ed è «grande interprete» delle nuove tecniche chirurgiche per lo scompenso cardiaco. Per questo motivo il National Health Institute, nell'ambito dello Stich Trial Study, la cui copresidenza è affidata a Menicanti, ha inviato in Italia 130 cardiochirurghi americani perché si perfezionassero sotto la sua guida.
«Lo scompenso cardiaco - afferma Menicanti - è destinato a crescere in modo esponenziale, è la nuova grande sfida. Il 30% dei pazienti sottoposti ad un'angioplastica per infarto acuto, presenta una dilatazione ventricolare importante, responsabile dello scompenso futuro, anche se la procedura è stata eseguita nei tempi considerati appropriati e nonostante la riapertura completa della coronaria occlusa. Il numero d'infarti diminuisce in Italia, come negli altri Paesi europei. È una conseguenza - aggiunge - del miglior controllo dei fattori di rischio: la pressione arteriosa, il diabete, le dislipidemie e soprattutto uno stile di vita più consono. Come ha riferito l'autorevole rivista scientifica «Circulation», la proibizione del fumo negli ambienti pubblici della città di Roma ha portato ad una diminuzione del numero d'eventi coronarici acuti (infarti e angine instabili) dell’11% solo nel primo anno. Ancora una volta si è dimostrato come interventi a correggere stili di vita dannosi producono enormi benefici a costi bassi».
Il trattamento dell'infarto acuto del miocardio, per mezzo dell'angioplastica, ha aperto nuovi orizzonti di cura per superare il restringimento delle coronarie. Con questa tecnica di cardiologia interventistica mediante un catetere, inserito in un’arteria periferica, si elimina il restringimento di un’arteria coronarica per mezzo di un palloncino e di una gabbietta metallica (Stent) che evita la richiusura del vaso. Questa metodica nel trattamento dell’infarto acuto è sicuramente superiore a qualsiasi altra scelta di cura, sia essa terapia medica o chirurgica, non lo è in presenza di una situazione stabile o quando tutte le coronarie sono ammalate, e da studi pubblicati sembrerebbe che vi sia un uso troppo esteso di queste procedure. Nel nostro Paese siamo passati da 87mila angioplastiche nel 2003 a 128mila nel 2007, nello stesso periodo i by-pass aortocoronarici sono diminuiti passando da 28mila a circa 23mila. I pazienti apprezzano questa tecnica che risolve il problema in modo poco invasivo e con una brevissima degenza ospedaliera se non vi sono complicanze. Ma i risultati finali presentano dei limiti. «Nei casi più gravi, quelli con tre coronarie ammalate, è meglio eseguire - precisa Menicanti - il by-pass aortocoronarico. Lo confermano numerosi studi internazionali, quelli affidabili. Nel 2005 New England Journal of Medicine ha pubblicato il rapporto dello Stato di New York, un ente neutro superpartes, sui risultati di sopravvivenza dei pazienti trattati con by-pass aortocoronarico ed angioplastica nei tre anni precedenti. Lo studio aveva coinvolto 60mila pazienti trattati con le più moderne tecniche di angioplastica. Il risultato, a parità di malattia coronarica coinvolgente le tre coronarie maggiori, dimostra che i pazienti trattati con intervento di by-pass aortocoronarico classico hanno una sopravvivenza a 3 anni dell’89% contro l’84% per l’angioplastica quindi il 5% di probabilità in più di essere vivi a soli tre anni dall'intervento.

Non solo, chi ha ricevuto come primo trattamento un’angioplastica ha il 32% di possibilità di dover ricorrere ai medici per un secondo intervento di rivascolarizzazione contro il 6% di coloro che sono stati operati». Sono dati che fanno riflettere.

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