(...) Duca degli Abruzzi. Che non è il Colosseo e nemmeno la Basilica di San Pietro, però è un pezzo di storia di Genova. I più romantici, rispolverando laffresco di Renzo Piano, si sono portati a sognare il trasferimento di tutte le riparazioni a Sestri, lasciando larea attuale alla vocazione turistica. Comunque, cè una parte di Genova - di cui fanno parte addirittura alcune aree responsabili della Cgil, a cui si è iscritto quasi per inerzia il presidente del Porto Luigi Merlo e di cui invece fa parte con il suo indubbio pragmatismo il presidente della Regione Claudio Burlando - che non chiude gli occhi. Che stima lamministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono per un ottimo manager, forse il migliore sulla piazza nel settore, quale effettivamente è. E che sa che il mercato delle navi da crociera non è più lo stesso.
In questo quadro, Calvini ha detto nellintervista le seguenti cose di assoluto buon senso: «Io invito a prendere in considerazione il fatto di non mettere cantieri navali sul ribaltamento a mare: collocare in quellarea attività comunque industriali e ad alto valore aggiunto, ma diverse dalla cantieristica». Il presidente di Confindustria Genova, mai così coraggioso e affrancato come in questa situazione, spiega: «Facciamo una premessa: oggi non ci possiamo più permettere posizioni ideologiche. E soprattutto non si possono imporre diktat a Fincantieri». Il resto viene da conseguenza, a partire dalle (serie e responsabili, con il valore positivo che questa parola sa avere, da non confondere con alcuni - non tutti - i deputati dellomonimo gruppo) domande di Calvini: «Cosa vogliamo fare? Continuare a mettere la testa sotto la sabbia? Non sarebbe meglio cominciare a guardare a quello che succede in Europa? Non mi pare che le prospettive di crescita del settore crocieristico indichino un ritorno ai numeri pre-crisi. Allora io dico: su costruzioni e riparazioni è necessario dialogare. Ma vorrei che tutti insieme non escludessimo orizzonti diversi».
Parole coraggiose e segno di grande serietà, anche intellettuale. Che Calvini ribadisce man mano che lintervistatore del Secolo continua le domande. «Valutiamo le cose in maniera oggettiva, guardiamo alle prospettive future, vediamo se almeno una parte delle aree del ribaltamento possano essere impiegate su altre attività. Pensiamo ad esempio alle industrie che operano nel campo dellimpiantistica o delle grandi infrastrutture energetiche (...) anche alzando lo sguardo al di fuori della nostra regione».
Cè spazio anche per la Domanda, con la maiuscola. Cioè gli 800 posti di lavoro di Fincantieri, a cui occorre aggiungere i dipendenti dellindotto. E anche in questo caso, la risposta di Calvini è perfetta, distinguendo fra «posto» e «lavoro», differenziazione che è nel dna di ogni sincero liberale e di Bono: «Vogliamo parlare di occupazione mettendo la testa sotto la sabbia? Se le navi non si costruiscono più, dovè il valore aggiunto? Non è meglio pensare a unaltra attività? E, le dico la verità, non è laspetto che mi preoccupa di più, perchè sono molti gli strumenti che abbiamo a disposizione per poter tutelare loccupazione».
Insomma, un Calvini che guarda oltre le riparazioni, che guarda a Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare, che ha capito quanto sia stata negativa per Genova la migrazione di Asg alla Spezia e che vede anche che ci sono 150 imprese hi-tech in città, che hanno 14mila dipendenti e il 75 delle quali prevede di crescere nel prossimo triennio, nonostante la crisi, come ha raccontato il presidente del Dixet Carlo Castellano con un fermo immagine perfetto: «Stiamo costruendo a Genova le basi per la crescita, per il nostro futuro».
Un Calvini, dicevamo, praticamente perfetto. (Al di là del suo orologio e del suo calendario). Un Calvini, in una parola, anzi in due, inedito e coraggioso. Praticamente, Malacalza.
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