Politica

Il nuovo frutto dei cattivi maestri

Dopo la statuetta la dinamite. E' un altro frutto delle campagne dei cattivi maestri. Sembra la replica di un film già visto negli anni Settanta che poi degenerò perché la politica tardò a dare risposte chiare

Il Comitato di liberazione nazionale, riesumato dall'asse Casini-Bersani-Di Pietro per abbattere il governo Berlusconi, ha un nuovo socio. Dopo Massimo Tartaglia, il mattacchione che ha preso alla lettera l'invito dei nuovi partigiani, si sono infatti arruolati tra i resistenti anche i componenti della «Federazione anarchica informale» che l'altra notte hanno messo una bomba di due chili all'interno dell'Università Bocconi a Milano. L'attentato è fallito solo per un problema tecnico: è esploso il detonatore, non il tritolo contenuto in un tubo di ferro.

Il passo dalla statuetta all'esplosivo è stato più veloce del previsto. Ora si dirà che questi signori hanno compiuto un atto deprecabile, che sono cani sciolti e che qualcuno di loro è stato in cura da uno psichiatra, che le responsabilità vanno equamente divise tra maggioranza e opposizione. Si tacerà sul fatto che gli autori dell'attentato sono fans di Santoro e di Travaglio e che quest'ultimo li ha confortati e forse incoraggiati sostenendo che è giusto odiare e augurarsi la morte fisica degli avversari politici (in questo caso anche di classe, cioè i bocconiani, in maggioranza figli della borghesia berlusconiana). E si dirà che bisogna misurare i toni, perché altrimenti gli animi si scaldano.

La violenza in piazza, ora quella in università: sembra la replica di un film già visto negli anni Settanta che poi degenerò perché la politica tardò a dare risposte chiare, perché ci fu qualcuno che sosteneva di non essere «né con lo Stato né con le Brigate rosse», altri che minimizzavano addossando la responsabilità ai «compagni che sbagliano».

Il distinguo tra le parole e i fatti è l'alibi costante dei mestatori. Non è così, è ovvio che se qualcuno, Di Pietro, fa l'equazione Berlusconi uguale a Mussolini, prima o poi accade piazzale Loreto. Che se altri, Casini e Bersani, evocano la resistenza, c'è chi scende dalle montagne a mettere bombe. No, in un momento come questo è troppo comodo dire «né con Berlusconi né con Di Pietro». I moderati devono scegliere. Chi sta con Di Pietro offre una copertura politica alla campagna d'odio e alle sue conseguenze pratiche. E siccome il Parlamento non è la Scala, dove l'importante sono i toni, ma il luogo delle decisioni che riguardano il Paese, occorre che Casini, Bersani e Fini scelgano in fretta, possibilmente subito, da che parte stare, non a parole ma con fatti consequenziali.

Che significa decidere e annunciare che con i Di Pietro d'Italia non sono possibili accordi e alleanze né oggi né mai. Significa prendere le distanze da chiunque prosegua nel linciaggio mediatico del premier e della sua maggioranza, vuol dire riconoscere la legittimità piena del governo Berlusconi e sedersi con lui a un tavolo per discutere e varare le riforme, compresa quella costituzionale, senza le quali non è possibile riportare ordine e serenità. Ieri sera il Pdl ha fatto la prima mossa offrendo a Udc e Pd un patto per un nuovo clima.

Se non ci saranno risposte positive resteranno solo le parole, inframmezzate da qualche scoppio.

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