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Il nuovo gruppo nasce con il pallottoliere

RomaÈ tutta una questione di numeri, ma non solo. Si ragiona col pallottoliere, vero. Ma qui c’entrano sia la testa che il cuore. Anche ieri era tutto un sondare la consistenza dei finiani: ma ce la fanno a fare sti benedetti gruppi autonomi? Alla Camera occorrono trenta deputati, al Senato dieci. A Montecitorio la cifra c’è: 33 saranno gli aderenti a «Futuro e libertà per l’Italia», con l’esclusione di Fini. Al Senato la situazione è un po’ più complessa perché, nell’arco della giornata, si sono rincorse le voci più disparate. Telefonate roventi tra i quattordici considerati in quota Fini: tu ci stai? Solo nel tardo pomeriggio si scioglie il nodo. Franco Pontone, Maurizio Saia, Giuseppe Valditara, Mario Baldassarri, Maria Ida Germontani, Egidio Digilio, Giuseppe Menardi e Pasquale Viespoli aderiscono. Totale 8. Pochi, troppo pochi per fare gruppo. Restano in bilico Andrea Augello, Laura Allegrini, Oreste Tofani, Cesare Cursi, Antonio Paravia e Candido De Angelis. Passano le ore e Augello si sfila: «Non condivido la lettera, lo spirito e i toni del documento dell’ufficio politico di ieri ma rimango contrario ad ogni ipotesi di gruppi separati e o scissioni». Fedeltà al Pdl anche da Allegrini, Cursi e Tofani. Parte quindi la campagna acquisti volta a tirare tra i frondisti altri senatori per raggiungere quota dieci. Si sondano gli autonomisti di Lombardo e Adriana Poli Bortone di «Io Sud». Il corteggiamento sortisce una dichiarazione di simpatia: «Guardiamo con attenzione ai nuovi gruppi del presidente della camera ma per ora restiamo nel gruppo misto». Per ora. E gli ambienti finiani assicurano che prima o poi la partita si sbloccherà e sarà lo stesso Fini, che ieri ha sentito personalmente la Poli Bortone, dovrebbe portare a casa un nuovo adepto.
Ma la partita vera è alla Camera dove quel numero, trentatrè, fa tremare la maggioranza di governo. Le fredde cifre consigliano cautela visto che se ai 341 deputati di maggioranza attuale si sfilassero i 33 finiani si arriverebbe a 308. Numero troppo esiguo visto che la maggioranza parlamentare è di 316. Tuttavia è qui che entra in campo il cuore. Alla calcolatrice si deve abbinare il sentimento. Già, perché dei 33 finiani la maggior parte ha posto come una sorta di condizione quella della lealtà: firmiamo soltanto se non facciamo cadere il governo e siamo leali nei confronti degli elettori. Ancora una volta falchi e colombe: pochi i primi, tantissimi i secondi. Nel contenitore di «Futuro e libertà per l’Italia» ci sono molte anime: ci sono i «finian-per forza», ossia quelli che non se la sentono di abbandonare il capo per un debito di riconoscenza; i «finian-antiberlusconi», che sperano nella caduta del despota di Arcore; e i «finian-malpancisti», che hanno seguito il presidente della Camera torcendosi le budella, avendo problemi di coscienza nei confronti degli elettori. Sono quelli che non vedono di buon occhio i Bocchino, i Granata, i Briguglio, le Perina e i Buonfiglio, considerati ultras della fronda.
Questi ultimi, in Transatlantico, sono i più raggianti e giurano: «Vedrete a settembre: i nostri numeri sono destinati a salire». Dall’altra i finiani-soft che pare abbiano posto come condizione a Fini il taglio delle ali ai falchi: «Veniamo ma non possiamo mica avere come capogruppo né Granata né Bocchino». Provvisoriamente a guidare la pattuglia dei finiani sarà Giorgio Conte, ma poi sarà guerra interna. Bocchino, Granata e i più esposti mediaticamente diranno la loro: «Ma come? Dopo tutto il fango che ci siamo presi in faccia adesso dobbiamo stare nelle retrovie?». Ma più probabilmente sarà un moderato a tenere le briglia dei finiani. Si vocifera un Moffa o un Menia, ma per le zuffe future c’è tempo.
I pasdaran intanto cantano vittoria: «Berlusconi non ha capito che saremo in grado di ingrippare l’ingranaggio meglio di prima. Ora dobbiamo essere rappresentati anche in tutte le commissioni». Vero: in ogni commissione dev’essere rappresentata proporzionalmente ogni forza in Parlamento e il vero lavoro sui testi di legge avviene lì. I finiani, quindi, avranno nuove pedine da piazzare, a scapito del Pdl: «Faremo interdizione direttamente alla fonte e vedremo poi che testo arriva in Aula». Tuttavia c’è un elemento da non sottovalutare: a settembre, norma di regolamento, la composizione delle commissione sarà rivista.

Ed è difficile prevedere che i finiani possano ancora avere, in commissione giustizia, le cinque pedine che attualmente siedono nel parlamentino: Bongiorno (attuale presidente), Angela Napoli, Siliquini, Consolo e Lo Presti.

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