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Il nuovo Irak ha fame di notizie In edicola più di 150 quotidiani

A Bagdad 200mila copie al giorno: poco sport e spettacolo e molto dibattito sul futuro del Paese, come nell’Italia del dopoguerra

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Dicono che la stampa, quella quotidiana, sia in crisi un po’ in tutto il mondo, fagocitata dalla televisione eccetera. Sarà vero in molti Paesi, non in tutti. Ce n’è uno, in particolare, in cui la stampa quotidiana fiorisce in dimensioni forse senza precedenti: ed è proprio l’Irak, tartassato da guerre, sanzioni, scontri tribali e settari e, peggio di tutti, un terrorismo spietato ed efficace. Le notizie che vengono da Bagdad e dintorni descrivono spesso, esagerando, una specie di inferno. Le descrizioni più fiduciose vengono spesso accolte con riserva. Ma a confermarle giunge oggi un dato che non è opinione bensì statistica: in Irak escono in questo momento 150 quotidiani. E non sono pieni di pettegolezzi dal mondo dello sport e dello spettacolo, bensì di quella cosa che si chiama politica, indispensabile come il pane laddove la libertà è stata a lungo repressa e negata. Centocinquanta quotidiani delle più diverse coloriture ideologiche, etniche, religiose, dagli sciiti ai sunniti, dai curdi ai nazionalisti iracheni, ai comunisti. Ottanta escono nella sola Bagdad con una tiratura complessiva quotidiana che supera le 200mila copie. Nelle debite proporzioni questi dati richiamano l’Italia dell’immediato dopoguerra. Anche noi eravamo distrutti e impoveriti, sconvolti e frastornati. Funzionavano a malapena i trasporti ma i giornali si trovavano freschi nelle edicole, magari accentuate le loro caratteristiche regionali. Anche allora da noi c’era tutto il ventaglio possibile delle opinioni, delle sigle, un caos rinfrescante di notizie, vere o sbagliate, dopo vent’anni di dittatura e di controllo statale, prolungati dalla «magra» del tempo di guerra.
La fama di Mao Tse Tung non era ancora arrivata in Europa eppure si realizzava in anticipo, in Italia e in tanti altri Paesi, quello che sarebbe stato il suo vaticinio bugiardo: lasciate fiorire i cento fiori. Quelli iracheni crescono letteralmente su macerie che non sono unicamente materiali. Che il Paese sia povero lo conferma un altro dei dati contenuti nel rapporto dell’Institute for War and Peace, che ha sede a Londra. Il prezzo medio di un quotidiano: 13 centesimi di dollaro, pressappoco dieci centesimi di euro, un decimo che da noi. Ma gli iracheni trovano questa somma, per loro poi non così piccola, perché rappresenta non soltanto una fonte di informazione (per quella c’è la televisione) ma una boccata d’ossigeno, una finestra di comunicazione con il mondo delle idee. È uno degli elementi più incoraggianti in un quadro complessivo che resta oscuro o almeno contraddittorio. Si accompagna, naturalmente, alle altre indicazioni di fermento politico che vengono dalle urne, che con l’affluenza generalmente elevata (con l’eccezione delle zone dove hanno avuto finora presa il boicottaggio tribale e quello terroristico) vanno in direzione di una partecipazione politica in germoglio che è potenzialmente più importante della limitata efficienza delle assemblee finora elette.
Su quest’ultimo dato insiste, comprensibilmente, la campagna di «disintossicazione» condotta in particolare dal governo americano; l’estensione e il radicamento della stampa politica quotidiana denota una tendenza più incoraggiante e probabilmente più importante; perché i lettori di oggi sono gli elettori di domani e non viceversa. Molte delle centocinquanta testate sono naturalmente effimere, destinate a scomparire a poco a poco proprio con il consolidamento delle istituzioni, come accadde da noi nel secondo dopoguerra. Quello che conta è che il ventaglio è davvero ampio, perché il contrasto di opinioni portato all’aria aperta è uno strumento di diffusione della democrazia assai più efficace che non la censura delle opinioni non democratiche. Troveranno, o forse hanno già trovato, modo di esprimersi anche i sostenitori di cause estremiste e, in particolare, i nostalgici del passato regime, quello che aveva spento il dialogo e il contrasto. Una delle peculiarità del dopoguerra iracheno è che fra le voci che si sentono e si leggono in giro, c’è già anche quella del tiranno abbattuto. Non proprio a Bagdad ma nella vicina Giordania ha trovato un editore, un paio di mesi fa, l’ultimo romanzo di Saddam Hussein. È la storia di una «liberazione» dell’Irak, per merito di un guerriero arabo che spezza l’«impero di Satana» che si è stabilito a Babilonia. Il titolo: Fuori, maledetti.

Dal momento che sta per aprirsi il processo contro Saddam, che comporta la pena di morte, questa potrebbe essere davvero la sua «ultima raffica».

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