Un nuovo rischio: l'auto-opposizione

Seppellite le escort, spuntano le tombe fenicie: proprio quello che ci voleva per un’opposizione zombie che lo stesso Rutelli sotterra con un lapidario: «L’opposizione si fa sugli errori del governo non sulla vita privata delle persone». L’autocertificazione di prematura scomparsa del Pd e compagni non deve, però, intenerire la maggioranza, il governo e soprattutto il premier. Perché per raccontare quello che sta accadendo non si può più parlare di «opposizione», ma di «sub-opposizione». Un tempo i giornali di opposizione facevano pagine sulle interrogazioni e sulle conferenze stampa dei partiti di sinistra, ora i partiti di sinistra fanno interrogazioni e conferenze stampa sui gossip dei giornali antiberlusconiani, assumono per via indiretta le curve di Patrizia D’Addario come nuovo parametro di interpretazione del mondo, sono passati dal tendenza Veronica al dipendenza escort. Un tempo, a sinistra, si faceva politica scervellandosi sui classici del marxismo e ci sembrava un eccesso di ortodossia. Adesso i dirigenti del Pd si mettono in fila per comprare «Papi», e magari per applaudire Travaglio che dice peste e corna del loro partito (dai microfoni della festa di partito). Erano meglio i classici del marxismo, ovviamente. E così si verifica questo strano paradosso: i leader del Pd escono dal mondo reale, diventano commentatori esterni del commissario Davanzoni e de La Repubblica, e il bisogno fisiologico dell’opposizione (che in un Paese democratico qualcuno deve pur fare) viene progressivamente assolto da pezzi della maggioranza.

Se guardate le cronache di qualsiasi giornale sulla manifestazione contro i tagli al fondo unico per lo spettacolo ci trovate, con il megafono in mano, Luca Barbareschi; se seguite le delegazioni di operai sardi preoccupati per il futuro della chimica a Porto Torres, li trovate inquadrati a testuggine dietro le parole d’ordine antigovernative del governatore Cappellacci. Se provate a vedere chi si oppone al no leghista ai presidi del Sud, vedete che il più netto è Galan. Se cercate in Parlamento chi ha raccolto le 101 firme contro i medici spia dei clandestini ci trovate la Mussolini. Se cercate a Montecitorio il più feroce guardiano delle norme sulla Finanziaria, trovate le esternazioni di Gianfranco Fini, che in tutto e per tutto è diventato l’alter ego della piattaforma del Pdl. La guerriglia della Prestigiacomo contro i ministri industriali sostituisce la sonnolenza degli ecologisti nel dibattito sull’ambiente e sulle tecnologie. È un bene, questo? Verrebbe da dire che è la prova che ci sono più ricchezza e più vita, oggi, a destra che a sinistra.

È la fotografia che il ricambio delle classi dirigenti, a prescindere da qualsiasi altra valutazione, si è verificato solo nel centrodestra. Volete l’ultimo esempio? La Rai: il centrodestra (non nascondiamoci dietro le ipocrisie) ha espresso quattro nomi nuovi, e due direttori di Tg che hanno poco più di quarant’anni. Il centrosinistra, incapace di dirimere le sue diatribe interne, ha chiesto e preferito congelare tutto in attesa dei suoi congressi. Di Bella e Ruffini, persone civilissime, sono gli stessi di otto anni fa, in questo stesso lasso di tempo, nell’altro campo, si sono fatti tre giri di giostra. La Rai, quindi, ancora una volta come metafora. All’inizio degli anni Novanta la società che cambiava era interpretata meglio dalla Raitre di Curzi, adesso Raitre è – oggettivamente – il luogo della conservazione, e il «congelamento», la richiesta massima che i dirigenti di sinistra fanno ai loro consiglieri Rai.

Ma se tutto questo è vero, ancora una volta, vuol dire che il fantomatico regime non esiste, e vuol dire che, ancora una volta, sono il fisiologico ricambio interno e la sub-opposizione, che rubano la scena all’opposizione. La dialettica fra la Lega e il Pdl è molto più animata e vera delle moine di casa ulivista, in cui tutto cambiava perché tutto restasse uguale. È un bene, questo? Fino ad un certo punto. Nel senso che se l’opposizione scompare, il principio di maggioranza non può essere sacrificato per un malinteso spirito di servizio, o per una oggettiva aderenza del grande partito di popolo a tutte le pieghe della società. Non solo. Si corre il rischio che qualcuno del governo o della maggioranza si senta più importante di quello che realmente è. Che qualcun altro voglia creare un partito di opposizione nella maggioranza. E la gente, quella che ha votato per un governo forte, guidato da Berlusconi, potrebbe non capire. Gli elettori hanno votato per un’alleanza chiara che non sia schiava della Lega nord, né messa in discussione da un fantomatico Partito del Sud.

No, la leadership di Berlusconi non è a rischio, così come la durata del suo governo, ma sbaglierebbe il premier a sottovalutare quanto sta accadendo nella maggioranza. Sarà bene che, finite le ferie, metta mano anche a questo: per evitare che la ricchezza delle voci soliste inizi a produrre qualche stecca nel coro.

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