Un impegno durato più di trentanni, una quantità imprecisabile di riscritture, persino la tentazione di gettare la spugna: a sentire Gianfranco Calligarich la gestazione di Privati abissi (Fazi, 237 pagg., 18 euro) è stata particolarmente travagliata, ma adesso che il lavoro di una vita è stato dato alle stampe si può dire che ne valesse la pena. Privati abissi è unopera forse meno abbagliante di quellUltima estate in città la quale, ristampata lanno scorso dopo un oblio di decenni, ha riportato il nome dellautore al centro dellattenzione letteraria, ma in compenso emana unironia dark che attirerà i lettori più esigenti; senza contare che ormai i grandi modelli avvertibili nel primo romanzo (Fitzgerald, Hemingway e Capote) sono stati metabolizzati, cosa che ci mette di fronte a uno scrittore dai tratti assolutamente personali.
Stavolta la voce del narratore - una delle più sagaci ed esilaranti che ci sia capitato di ascoltare di recente - è quella di un vecchio e malmesso giocatore dazzardo. Testimone di una storia damore fra ricchissimi rampolli nata a Roma durante lestate del 68 in un fumoso locale notturno, «Il tempo ritrovato», il biscazziere preferisce alludere ai suoi personaggi con degli epiteti. Il protagonista maschile, per esempio, è lo «Sprangato partner». Futuro padrone di una «fabbrica di ferro» genovese che verosimilmente è lAnsaldo, luomo per svagarsi suona il pianoforte in uno studio di registrazione, in attesa che la professione di nababbo, come il coperchio di un sarcofago, si richiuda su di lui. È sprangato, lo si comprende subito, dentro un nichilismo immedicabile; finché una sera unereditiera mozzafiato, vestita di bianco da capo a piedi, non compare al bancone del bar portando con sé la speranza di una ragione per cui valga la pena di vivere. Peccato che accanto alla donna si apra, come si apriva accanto a Pascal, un abisso; che non è il vaporoso nulla nel quale fluttua il suo spasimante, ma un elaborato trauma familiare, i cui segreti ovviamente non riveliamo al lettore. Si può rivelare invece che la nuova coppia, che già così ha più scheletri nellarmadio che capelli in testa, ben presto viene raggiunta ed esistenzialmente molestata prima da uno scaltro scrittore inglese, lo «Stoico San Sebastiano», poi da una feroce tricoteuse, la «Cupa Penelope», una giovane francese che non si separa mai dalla sua sacca irta di aghi, ferri e uncinetti. A questo punto la partita degenera, scatenando un vortice di fughe (a Capri, Barcellona, Locarno) che lautore domina con perfetto virtuosismo narrativo. Un virtuosismo, si badi, costantemente redento e sostanziato da uno stile che ha nelle metafore perfette e nel raffinatissimo humour nero i suoi punti di forza.
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