di Cristiano Gatti
Sette interventi hanno fatto miracoli, tutti i possibili, tranne quello di restituirle i suoi lineamenti, belli com'erano. Adesso Lucia è un po' diversa in viso e molto diversa nell'anima: molto, ma molto più forte di prima. Tremendamente più forte di chi voleva cancellarla con un getto di acido. La giustizia italiana sta cercando di inchiodare una volta per tutte l'ex fidanzato quale regista della devastazione, mandante dei due albanesi che quella sera di primavera l'attesero nella sua stessa casa, a Pesaro, per sfigurarla nel modo più vile e più sprezzante.
Comunque vada a finire, Lucia Annibali da quella sera ha chiuso la sua prima vita e con sforzi immani ha cercato di nascere una seconda volta, diversa nell'aspetto, migliore nel temperamento. Era un'avvocatessa stimata, aveva un fidanzato anch'egli avvocato, tutto filava liscio nell'età più bella dei suoi 35 anni. Poi il vento è cambiato, portandosi via l'amore e quella storia difficile, lasciando sul campo come foglie secche il risentimento e il rancore di un uomo frustrato. Se Lucia non è finita in modo anonimo ad arricchire semplicemente l'atroce casistica del femminicidio è soltanto per puro caso, o forse perché il suo giustiziere ha pensato a qualcosa di più diabolico e di più perfido: rovinarla per sempre, lasciandole solo la pena di guardarsi allo specchio e soffrire ogni giorno della tessa pena.
All'inizio era sembrato che il giustiziere avesse colto nel segno, decretando come una divinità del male la fine di una donna inerme. Lucia ha barcollato, ha tremato, ha pensato tutto il peggio, pronta a una ritirata totale. Ma è durato poco, giusto il tempo di una rabbia sconfinata e di un perché irrisolvibile. Poi lentamente è comparsa un'altra idea, tutta un'altra idea di futuro, senza fughe e senza ritirate, senza imbarazzi e senza vergogne. Sfregiata, ma non vinta. Lucia ha scelto di pagare e di parlare per tutte, simbolo di tutte le sofferenze, di tutti i soprusi, di tutte le crudeltà che gli amori impossibili generano in tante coppie scoppiate. Mentre i chirurghi cercavano un intervento dopo l'altro di ricostruirle un volto presentabile, lei s'è impegnata a costruirsi una nuova identità, disposta a tutto, per una causa giusta, la più giusta: dare voce alle vittime della prepotenza. Alla fine dell'estate, eccola uscire allo scoperto con una lettera e alcune foto sul Corriere.
Oggi Lucia è una donna nuova, che con i segni dell'umiliazione subita parla la lingua univerale della ribellione. «Per me questo è l'anno zero. Sarò un'altra Lucia per tutta la vita, non posso continuare a nascondermi. Che vedano pure come mi hanno ridotta, non sono certo io che devo vergognarmi»: così guarda in faccia, senza abbassare lo sguardo, chi crede che basti lanciare dell'acido per cancellare la propria ossessione. La speranza è di non sentirsi mai sola, di trasmettere forza ed energia alle stesse vittime del suo stesso destino. «Rinasco. Ricomincio tutto daccapo con la mia nuova faccia, con il naso un po' così, con gli occhi fra l'orientale e la tumefatta, con le sopracciglia da tatuare e la bocca buona per sorridere, finalmente, dopo l'ultima operazione. Ma posso fare di meglio e di più. Sono sicura che so fare di meglio e di più». Certo farà di meglio e di più. Per sé e per tutte le donne umiliate: «Voglio dire loro voletevi bene, tanto, tantissimo. Credete in voi stesse. Ogni atto di violenza subita non dipende mai da voi che amate l'uomo sbagliato, ma da lui che lo commette. Il mio caso deve servire a tutte. La vera deformità non è sul mio volto: è nella testa di chi ha voluto tutto questo».
Altri interventi seguiranno, altro dolore e altre salite. Una boccetta d'acido basta per sfregiare un viso e per rovinare una vita. Ma quello che nasce dopo non c'è acido che possa intaccarlo: niente e nessuno può sfregiare la bellezza della verità.
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