Il nuovo volto di Milano

Tra le cose interessanti della nostra città in questo periodo non va dimenticata la mostra «Milano XXI secolo», che si svolge lungo la vecchia via Zebedia e si conclude nei locali storici del Centro Culturale di Milano, che della mostra non è solo l'organizzatore ma anche l'ideatore.
A tre giovani fotografi allievi di Giovanni Chiaramonte - Walter Ricardo Francone, Silvia Morara e Alessandro Tosatto - è stato chiesto di ritrarre Milano così come si presenta in questo preciso frangente della sua storia.
Il risultato desta qualche sorpresa. Il mezzo fotografico, usato con onestà e rigore, è riuscito a togliere dai soliti discorsi su Milano gran parte della loro retorica e pretestuosità.
Ma forse si parla tanto di Milano proprio perché parlarne seriamente è difficile. C'è la retorica di chi vede tutto negativo - classica lagna di sinistra - e c'è chi affetta ottimismo e vede grandi sviluppi che per ora sono solo sulla carta, e che (come dice il mio amico Manfredi Catella, responsabile del più importante dei grandi cantieri cittadini, quello di Garibaldi-Repubblica) una volta realizzati non garantiranno contro il degrado, per vincere il quale ci vuole molto più che un grattacielo. Le immagini di via Zebedia mostrano, invece, qualcosa che va oltre il pessimismo e l'ottimismo. Non ostentano né allegria né tristezza, ma documentano la grande tenuta umana di questa città, la sua resistenza. Dal suo passato più vivo, fatto di lavoro e di dignità, Milano sa trarre nuovi germogli. Il passato può essere cancellato dal nuovo, ma può essere anche fatto rivivere: dipende da come il nuovo incontra questo passato.
Nessuna ondata di immigrazione può snaturare una città se i nuovi cittadini incontrano, attraverso quelli vecchi, una umanità originale e genuina: quella umanità che sembrava persa e che invece esiste, spesso sommersa, ma capace di incidere sul presente: tanto da segnare spesso anche il volto esotico dei nuovi milanesi.

In via Zebedia si può incontrare il presente di Milano: non ancora splendido, spesso faticoso, ma ugualmente vivo e incredibilmente ricco di spessore. E s'intravede, forse, una via lombarda all'integrazione, un possibile modello buono nel momento in cui in tutto il mondo si grida al fallimento del melting pot.

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