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Nureiev non era un dissidente, fuggì per amore

Fu il suo amante e il suo mentore. Senza di lui il cigno non avrebbe mai volato, non avrebbe mai spiccato il grande balzo oltre cortina, verso i grandi palcoscenici del mondo. Ma quando lui volò via l’altro rimase prigioniero, dimenticato, ignorato. È la storia amara, sconosciuta di Teja Kremke e Rudolf Nureiev, due ballerini, due amanti gay nella grigia, intollerante Leningrado sovietica degli anni 60. La loro vicenda oscura rivive ora nella biografia del grande ballerino scritta da Julie Kavanagh e nel documentario della Bbc “Nureyev: from Russia with Love” (“Nureiev: dalla Russia con amore”).
Tutto inizia nel 1961 tra le pedane e le spalliere del teatro Kirov di Leningrado. Nurajev ha 21 anni ed è già una stella, ma la sua carriera non decolla. Al “Festival internazionale della Gioventù di Vienna”, la prima trasferta concessagli dal regime, quel giovinetto volubile e intollerante è sfuggito ai controlli del Kgb, ha familiarizzato con gli occidentali, ha rubato attimi di libertà nelle strade austriache. Le autorità hanno già deciso il suo destino. Non metterà più piede in Occidente. La sua carriera si consumerà tra i teatri dell’Unione Sovietica e qualche trasferta nell’Est europeo. Una ben misera prospettiva per un giovane affamato di gloria e successo. Teja Kremke è l’unico a stargli accanto. È di Berlino Est, ha 18 anni, tre meno di Nureiev, ma è affascinato dalla maestria del compagno incontrato tra le pedane del Kirov. Gli balla accanto, lo incoraggia, riprende le sue piroette con una cinepresa in bianco nero.
Quelle immagini tremule, inedite rivivono nel documentario della Bbc. Riemergono dal passato, raccontano le ore d’amore e le infinite conversazioni strappate dai due giovani efebi a maestri e custodi. Teja resta ad ammirare, suggerisce a Rudolf nuovi passi, lo convince della sua bravura, lo persuade a non confinarla negli angusti confini del comunismo reale. Rudolf lo ascolta, attende l’occasione. Quando Konstantin Sergeyev, primo ballerino del Kirov, si sloga una caviglia, Rudolf è pronto. La compagnia ha in programma un tour europeo e la prima tappa è Parigi. Gli organizzatori francesi pretendono che a sostituire Sergeyev arrivi il giovane Nureiev, piegando la rude burocrazia sovietica.
A Parigi Nureyev incanta le platee, s’inebria di libertà. Tira tardi, scola qualche bicchiere di troppo, manda su tutte le furie i suoi controllori. Tre settimane dopo il suo destino è nuovamente segnato. Mentre il resto della compagnia vola a Londra lui riceve l’ordine di prepararsi a rientrare a Mosca. La scusa ufficiale è un’esibizione per i vertici del Cremlino, ma Nureiev già lo sa, in patria l’aspetta solo l’oblio. «Sono un uomo morto», sussurra a un collega francese. Chiama Teje, discutono a lungo al telefono. L’amico del cuore non ha dubbi. Gli raccomanda di fregarsene di tutto e tutti, di pensare solo alla carriera e al futuro, gli ricorda che quella sarà l’ultima occasione. Si dicono addio.
La mattina dopo, il 17 giugno 1961, la compagnia del Kirov sfila nei corridoi dell’aeroporto di Le Bourget. Sono tutti in gruppo sotto gli occhi attenti del Kgb. Ma Nureiev coglie l’attimo. Con un balzo e una piroetta il cigno è nelle braccia di un poliziotto francese, urla a squarciagola «voglio la libertà», si difende dietro il gendarme armato. La folla s’avvicina, incuriosita, allarmata. Le guardie si ritirano beffate. L’Occidente, umiliato settimane prima dal volo spaziale di Yuri Gagarin, è ben felice di prendersi quel ballerino e una rivincita propagandistica.
Nureiev disegna la prima parabola verso la celebrità. Teje sprofonda all’inferno. Qualche settimana dopo Rudolf lo chiama al telefono di casa sua a Berlino Est, lo invita a passare dall’altra parte della città. Teje si sente braccato, sorvegliato. Esita, rimanda, tentenna. Qualche settimana le palizzate di cemento del nuovo Muro di Berlino intrappolano ogni sua speranza. La sua vita si consuma sotto gli occhi della Stasi, la polizia segreta, si uniforma alle regole del comunismo reale. Si sposa, fa tre figli, scola una bottiglia dopo l’altra, si spegne a solo 37 anni.

Dall’altra parte, oltre il muro, un cigno vola alto e non guarda più giù.

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