Obama annuncia il suo piano anticrisi: «In due anni 2,5 milioni di posti in più»

Quando Detroit piange, Washington non può concedersi il lusso di sorridere. Men che meno se, come sta accadendo, altre piccole e grandi «Detroit» in crisi di lavoro si moltiplicano giorno dopo giorno, tra i fragorosi silenzi dei macchinari che si fermano e delle linee di produzione che si arrestano. Una situazione che ha portato a 540mila il numero degli americani iscritti alle liste di disoccupazione, il dato peggiore da sedici anni a questa parte.
Di conseguenza, il Barack Obama visto ieri su Internet e ascoltato alla radio nel suo secondo messaggio del sabato, non poteva che abbandonare ogni concessione ai «messaggi» evocativi che gli avevano spianato la strada verso la Casa Bianca - dove si insedierà il 20 gennaio prossimo - privilegiando invece l’annuncio delle doverose, urgenti e concrete cure necessarie a rimarginare le ferite apertesi nel corpo del Grande Paese.
Il discorso di ieri ha anche dimostrato come il Presidente eletto non abbia voluto «rubare» a Franklin Delano Roosevelt soltanto la tradizione delle fireside chat, le chiacchierate davanti al caminetto inaugurate dall’illustre predecessore nel marzo 1933, ma anche il senso stesso della filosofia economica da adottare per cercare di risolvere i problemi dell’America e degli americani. Perché pur fatte le dovute proporzioni storiche e numeriche, la ricetta esposta ieri da Obama può essere definita come la sua moderna interpretazione del New Deal.
Il prossimo inquilino della Casa Bianca non ha ripetuto le storiche parole di Roosevelt - «L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa» - ma ha esposto un suo personale Nuovo Corso che ricorda molto le tre «erre» che fecero entrare nella storia il 32° Presidente degli Stati Uniti. Ovvero «relief, recovery and reform» , traducibili in «cura, recupero e riforma».
Senza più quel giovanilistico pallone di basket che si intravedeva alle sue spalle nel primo discorso del sabato trasmesso su You Tube, sostituito invece dalla più rassicurante fotografia delle figlie, Obama ha promesso ieri agli americani un piano di ripresa dell’economia che mira a creare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2011 soprattutto attraverso investimenti in opere pubbliche come strade e ponti, per la modernizzazione delle scuole, per la costruzione di centrali eoliche e di pannelli solari nonchè per la produzione di auto a basso consumo di carburante in modo da potersi affrancare il più possibile dalla dipendenza dalle importazioni petrolifere.
Si tratterà di «un piano abbastanza ampio da far fronte alle sfide che affrontiamo - ha detto Obama -. Un piano che intendo firmare appena insediato». Il futuro presidente, descrivendo senza remore le difficoltà economiche in cui si dibatte oggi il Paese - «non ci sono soluzioni rapide o facili a questa crisi ed è probabile che peggiorerà prima di migliorare» - ha anche sottolineato come oltre all’emorragia di posti di lavoro e al crollo del mercato immobiliare, quello che si sta delineando è «il rischio di cadere in una spirale deflazionistica che potrebbe aumentare ulteriormente il nostro massiccio debito».
In questo messaggio al Paese, anticipo di un suo probabile annuncio pubblico alla riapertura dei mercati di domani in cui dovrebbe anche ufficializzare le già annunciate nomine di Timothy Geithner al Tesoro e di Bill Richardson al Commercio, Obama ha poi assicurato che «queste non sono soltanto misure per farci uscire dalla crisi immediata, bensì investimenti a lungo termine per il futuro della nostra economia». Investimenti, ha aggiunto, «ignorati per troppo tempo».

Lasciando capire come quello a cui lui intende dare vita è un governo - ha detto - che «dispensi saggezza e metta l’interesse pubblico davanti agli interessi particolari che sono arrivati a dominare la nostra politica».

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