Obama, il candidato perfetto che deve nascondersi se fuma

Dietro le quinte della campagna presidenziale americana: si sveglia all’alba, fa jogging, mangia da salutista, non beve, non ama le imperfezioni. Eppure.... In Virginia, dove gli elettori dicono bugie ai sondaggisti di Giuseppe De Bellis. Il milkshake alla fragola portafortuna di Felice Manti

Obama, il candidato perfetto 
che deve nascondersi se fuma

nostro inviato a Pittsburgh (Pennsylvania)

Dorme sei ore a notte. E si vede. Quando incontri Barack Obama dietro le quinte della Mellon Arena, il palazzetto dello sport di Pittsburgh, scopri un uomo comprensibilmente stanco, con il volto appesantito, lo sguardo talvolta assente. Pensi: non ce la fa più. Ma poi sale sul palco, osserva i 15mila fan eccitatissimi, sente la loro energia e si ricarica. Quando scende sembra più giovane di dieci anni, è sorridente e disponibile.

I suoi ammiratori lo trattano come una star di Hollywood e lui, pur non essendo espansivo di indole, gradisce. Firma autografi, si fa fotografare, stringe decine di mani. Un ragazzo gli porge il telefono cellulare e lo supplica: «C'è mia madre in linea, dille qualcosa». Barack sta al gioco: «Ciao, mamma, come stai? Mi raccomando il 4 novembre fai il tuo dovere». Poi gli agenti del servizio di sicurezza lo fanno salire su un'auto, blindata, naturalmente. Direzione Carson Street in uno dei quartieri più poveri della città per una visita a sorpresa al comitato elettorale democratico. Obama apre la porta e i venti volontari presenti restano a bocca aperta. Christine Stone, un'elegante mora sui trent'anni, ha con sé le due figlie di sei e di otto anni. Barack le si avvicina, si toglie la giacca, arrotolandosi la camicia bianca fino al gomito. La saluta, ringrazia e scherza con le due bambine. Si fa consegnare una lista di elettori indipendenti e ne chiama cinque. Dopo dieci minuti annuncia: «Ne ho convinti quattro, ma anche l'unico indeciso può passare dalla nostra parte; ha bisogno solo di un po' di incoraggiamento». Poi saluta e va in albergo, dove lo attendono i pezzi grossi del partito.

Rimarrà con loro fino a mezzanotte e mezzo. Diciotto ore: è la giornata tipo di un candidato presidenziale. Con qualche piccolo segreto, strappato ai suoi collaboratori e ai giornalisti che da nove mesi lo seguono in giro per gli Usa. Barack si sveglia alle 6.30, indossa una maglietta blu, i pantaloncini grigi, le scarpe da ginnastica e scende in palestra per trenta minuti di corsa sul tapis roulant. Poi risale in camera. Doccia, colazione frugale e alle 7.30, massimo alle 8 è pronto. È molto attento alle abitudini alimentari: i suoi pasti sono il più possibile regolari, con pochi grassi. Agli hamburger preferisce le insalate, al gelato la frutta. Non è goloso, non mangiucchia fuori orario e gli alcolici lo lasciano indifferente. Beve vino solo nelle occasioni ufficiali, la birra quasi mai. La sua grande passione è il tè verde, che consuma in quantità industriali.

Un salutista, insomma. Con un solo vizio: la sigaretta. Ufficialmente ha smesso. Lo aveva promesso alla moglie e alle figlie un anno fa ed è stato di parola. «Ma quando è molto nervoso non si trattiene», confida una fonte democratica «si strappa il cerotto cutaneo che aiuta a vincere la dipendenza da nicotina e si accende una sigaretta, talvolta due, quando è furioso tre». Nemmeno Michelle riesce a trattenerlo: «Non preoccuparti cara, ho sconfitto Hillary, mi libererò anche del fumo», replica lui con un sorriso, pronunciando quella che la leggenda vuole sia una delle sue battute preferite. Per il resto non si concede deroghe. Non ama le imperfezioni, né gli imprevisti, è un organizzatore implacabile. Anche con i giornalisti, con cui si intrattiene volentieri di città in città, ma con il cronometro in mano. Ogni intervista dura sei minuti sei, stretta di mano e foto compresa; se telefonica dieci, al secondo. Prendere o lasciare. Quasi tutti prendono, i più fortunati a bordo dell'«Obama One», come è stato soprannominato il Boeing 757 della campagna, dipinto di bianco e blu, con il logo rotondo blu e rosso sulla coda e il motto «Change we can believe in» dipinto a caratteri cubitali su entrambi i lati della carlinga. Un aereo di stralusso, con i sedili in pelle nera, che richiama l'Air force One della Casa Bianca e che quando fu presentato, nel luglio scorso, suscitò enormi polemiche.

Giustificate, perché la personalità dell'uomo che tra sei giorni potrebbe conquistare la Casa Bianca è più complessa di quanto appaia ai milioni di americani che lo adorano e che vedono in lui una persona modesta, affidabile, persino umile. «Ha un ego sproporzionato», ha ammesso recentemente David Axelrod, il suo fedelissimo, geniale stratega elettorale.

«È superbo, ambizioso, spietato nel contare amici e nemici», sussurrano alcuni suoi conoscenti di Chicago, che avvertono: «Non pensate sia un altruista, Obama pensa soprattutto a se stesso».
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