Obama ci ripensa: «Basta fotografie alle mie figlie»

Che c’è di male se una bambina si affaccia al balcone di casa in una calda serata d’estate e vedendo rientrare il papà lo saluta agitando la manina? Nulla se si chiama Smith o Barnes. Ma se di cognome fa Obama e in giardino non ci sono gli amichetti del quartiere ma decine di fotografi è un’altra storia, che evidenzia i limiti e i paradossi della società della comunicazione.
Dici immagine e pensi a Barack. Nessun più di lui è riuscito a sfruttarla per raggiungere una popolarità che, ancora oggi, esonda nell’idolatria. E nella costruzione del successo, la famiglia ha avuto un ruolo fondamentale. Chi non ricorda le tenere foto di Obama, abbracciato a Michelle e alle due piccole, deliziose figliolette? Erano così accattivanti che gli spin doctor ne proposero una addirittura in apertura del suo sito elettorale. E chi non ha sorriso seguendo il commovente dialogo tra la piccola Sasha e il suo generoso papà in collegamento video durante la convention di Denver? I bambini contano moltissimo in politica. Umanizzano il candidato, seducono gli elettori, inteneriscono le mamme e i nonni.
E possono essere molto utili anche al potere. Quando nei primi anni Sessanta i settimanali americani pubblicarono le immagini di Jfk junior e Caroline mentre giocavano sotto la scrivania dello Studio Ovale, la popolarità di John Fitzgerald Kennedy aumentò di diversi punti. Ma quelli erano tempi diversi, e l’invadenza dei media non paragonabile a quella di oggi; forse nemmeno a quella che risale all’epoca di Bill Clinton che quando giurò sulla Bibbia, nel 1993, aveva una figlia, Chelsea, appena tredicenne.
Fino a che punto è giusto che il diritto all’informazione prevalga sulla tutela della privacy, tanto più se riguarda dei minori? Dilemma antico e irrisolto. In tempi recenti erano sufficienti energiche pressioni per convincere i paparazzi che i figli avevano diritto di vivere una vita il più possibile normale, senza l'ansia di essere assalite dai reporter o riprese di nascosto nell'intimità di un'amicizia.
Ora c’è Obama e il mondo è diverso se il tuo punto di osservazione è dentro o fuori la Casa Bianca. Il candidato che prima non esitava a sfruttare l’immagine delle sue ragazzine ha cambiato improvvisamente idea. Giù le mani da Sasha e Malia è l’ordine impartito ai fotoreporter. O meglio: su il teleobiettivo, ma solo quando lo desidera lui.
Gli spin doctor hanno elaborato un metodo di gestione delle immagini che deborda nella censura, ma permette al presidente di non privarsi della popolarità garantita dalle figlie. Il fotografo della Casa Bianca continua a riprendere liberamente Sasha e Malia e scarica le immagini sul sito presidenziale. Ma in bassa risoluzione, dunque impubblicabili. E qui sta il trucco. Chi vuole quelle in alta risoluzione deve chiedere l’autorizzazione al portavoce Robert Gibbs, che di volta in volta decide se concederla oppure no. In base a quali criteri non si sa. Le dà a tutti o solo alle testate amiche? Mistero.
Per gli altri fotoreporter le disposizioni sono implacabili.

Le piccole possono essere riprese soltanto in occasioni ufficiali, mentre sono vietati gli scatti a scuola, nel tempo libero, in compagnia degli amichetti, persino entrando e uscendo dalla Casa Bianca e tanto meno sul balcone o sul prato della Casa Bianca. Censura, implacabile, a cui nessuno per ora si è ribellato, anche perché chi non la rispetta rischia di perdere l’accredito. E l’accredito per un giornalista a Washington è vita.
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