È arrabbiato, Barack Obama. Arrabbiatissimo, precisano alcuni suoi collaboratori; al punto di essere pronto a rinunciare a uno dei suoi fedelissimi. E a Washington è già iniziato il toto-licenziamenti. Chi pagherà per il clamoroso «buco» nei servizi di prevenzione, grazie il giorno di Natale il terrorista Umar Farouk Abdulmuttalab è riuscito a imbarcarsi sul volo Amsterdam-Detroit, nonostante fosse nella lista nera della Cia?
Il presidente sta passando qualche giorno di vacanza alle Hawaii, ma ha già ricevuto i primi rapporti, che non lo hanno certo messo di buonumore, perché è ormai evidente che le varie agenzie di lotta al terrorismo non hanno collaborato. Il problema è noto, risale addirittura a prima dell’11 settembre, ma nemmeno l’attacco alle Torri Gemelle e la creazione di una nuova funzione, quella di zar dell’antiterrorismo, sono serviti a risolverlo.
Oggi ben 16 enti governativi danno la caccia ad Al Qaida, ma quando uno di loro ottiene informazioni fondamentali non sempre le trasmette alle altre. Per inefficienza burocratica, per gelosia, per antiche e assurde rivalità tra i diversi corpi. Così, nonostante l’America sia in guerra con Al Qaida, capita che i sospettati la facciano franca.
Il 25 dicembre solo la prontezza di riflessi del personale dell’aereo ha impedito una tragedia che sarebbe doppiamente stata assurda, perché se i controlli fossero stati davvero efficienti, il terrorista egiziano sarebbe stato arrestato ad Amsterdam o addirittura prima. L’ambasciata americana a Lagos non avrebbe dovuto nemmeno concedergli il visto o perlomeno avrebbe dovuto revocarlo non appena il padre ne denunciò la pericolosità.
Ieri Obama ha reso omaggio ai sette agenti della Cia uccisi da un kamikaze in Afghanistan. «I vostri successi, persino vostri nomi resteranno ignoti, ma il vostro sacrificio, grazie al quale sono stati sventati complotti e salvate molte vite, è profondamente apprezzato», ha dichiarato pubblicamente. Un elogio dovuto, che però non attutisce né dubbi, né polemiche sui servizi. Anzi. «Il presidente cercherà ai massimi livelli i responsabili del flop di Natale», ha precisato la solita fonte anonima. Come dire: qualche testa potrà cadere.
Sui taccuini dei cronisti politici più informati sono appuntati due nomi: Janet Napolitano, segretario alla Sicurezza interna, e Dennis Blair, direttore nazionale per l’antiterrorismo. Due nomi pesantissimi e, fino a poco tempo fa, considerati intoccabili. La Napolitano, che negli anni Novanta aveva servito Bill Clinton, godeva della stima della Casa Bianca, che nei mesi scorsi l’ha difesa dagli attacchi sul terrorismo. Ma la stima non è più incondizionata. Commentando l’attentato di Natale ha dichiarato che il «sistema di prevenzione aveva funzionato benissimo»; ma dopo appena 24 ore Obama ha denunciato «un inaccettabile errore sistemico». E quando un ministro viene smentito in maniera così plateale ottiene di diritto la pole position nella griglia dei licenziabili. A meno che un esame più accurato della situazione non faccia emergere altre responsabilità.
L’altro indiziato è Blair, un ammiraglio in pensione, scelto personalmente da Obama. È lui oggi lo «zar dell’antiterrorismo»; dunque, secondo logica, la responsabilità del mancato coordinamento è sua. A meno che non riesca a scaricare la colpa su qualcun altro. Ieri ha inviato una lettera al suo staff in cui avverte che «coloro che hanno commesso errori saranno chiamati a risponderne». Pare che abbia passato le ultime 48 ore seduto alla propria scrivania, senza pensare ai brindisi e tanto meno ai botti.
Sta scartabellando tra migliaia di documenti per scoprire dove l’informazione si sia arenata e magari scaricare le colpe su un’altra agenzia. Non la Cia, dove la posizione di Leon Panetta appare solida, ma forse la «National security agency», il potentissimo «orecchio» dell’intelligence che intercetta migliaia di informazioni ogni giorno.
Di certo Obama non si limiterà a una strigliata, ma pretenderà proposte concrete per rendere finalmente efficiente la collaborazione tra i servizi di sicurezza. Poi deciderà se per recuperare la credibilità perduta sarà necessario privarsi della Napolitano o di Blair o di tutti e due.
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