Obama prende le distanze da Bush. A parole

C’è un Obama che parla, c’è un Obama che agisce. Ci sono le parole e ci sono le azioni. Ieri il presidente americano era a West Point, di fronte ai cadetti dell’accademia militare più prestigiosa degli Stati Uniti. Il comandante in capo su un podio, la truppa sull’asfalto. Ha parlato, il presidente. Di sicurezza nazionale, di strategia internazionale, di futuro. E con le parole ha marcato la distanza ideologica dall’Amministrazione precedente: vuole più impegno diplomatico, più alleanze internazionali, soprattutto vuole meno unilateralismo. Ecco la parola chiave: unilateralismo. Il concetto è stato usato apposta ieri, usato di proposito a West Point, perché è lì che George W. Bush aveva parlato della teoria della guerra preventiva. Era il 2002 e l’America non s’era ancora rialzata dalle macerie dell’11 settembre. Bush parlò dallo stesso podio dal quale ha parlato Obama, raccontò ai suoi cadetti e al mondo che gli Usa per difendersi avrebbero attaccato. Obama ha detto l’opposto e una delle poche occasioni in cui l’ha fatto: «Il peso di questo secolo non può ricadere solo sulle spalle americane». Il presidente ha fatto riferimento alla seconda guerra mondiale: gli Stati Uniti, ha detto Obama, «evitarono di agire da soli». Malgrado i difetti del sistema internazionale, ha sottolineato, «l’America non ha conseguito successi al di fuori della corrente della cooperazione internazionale, ma dirigendo questa corrente nella direzione della libertà e della giustizia». Per questo gli Stati Uniti continueranno «a rafforzare le vecchie alleanze» e «a costruire nuove partnership. L’ordine internazionale che vogliamo è quello che servirà a risolvere le sfide del nostro tempo». Ha parlato anche di Al Qaida: «Non scomparirà presto. Ma bisogna essere chiari: Al Qaida e i suoi affiliati sono piccoli uomini dal lato sbagliato della storia... non bisogna soccombere alla paura ogni volta che un terrorista tenta di spaventarci. Non dobbiamo rinunciare alle nostre libertà perché gli estremisti cercano di sfruttarle».
Obama anti Bush, quindi. Obama diverso, differente, alternativo. Eppure mentre il presidente parlava a West Point un drone americano stava colpendo il Pakistan. Sei morti. Sei morti nel territorio di un Paese ufficialmente alleato. In Italia non ne parla mai nessuno, tranne il blog di Christian Rocca che tiene aggiornato il conto delle offensive Usa in Pakistan: questo è il sesto attacco del mese, il 37° del 2010. L’anno scorso la Casa Bianca ha autorizzato 53 attacchi missilistici, contro i 36 autorizzati da George W. Bush nel 2008.
C’è qualcosa che non va, allora. O meglio: va benissimo colpire un territorio che si sospetta sia in mano ai terroristi. Forse, però, andrebbe semplicemente spiegato al mondo che anche quelli sono attacchi preventivi, anche quello è unilateralismo: il presidente americano non può certo chiedere l’ok all’Onu ogni volta che deve difendersi attaccando. Lui dà il via libera e stop. La differenza sta solo nelle parole: nel pudore che si ha nel definire quelle operazioni con il loro nome. È la retorica della pace che fa a pugni con la realtà delle armi. Obama è un presidente in guerra: l’ha detto lui, lo sanno tutti. In Afghanistan e in Irak. Ha bisogno di smarcarsi a parole da Bush, evidentemente. Come scriveva ieri Politico, «il presidente è ancora in campagna elettorale contro l’Amministrazione precedente». Obama vive un periodo di difficoltà: criticato da destra e da sinistra per la gestione del disastro ambientale nel Golfo del Messico, accusato di immobilismo, preoccupato per la rimonta repubblicana in vista delle elezioni di Mid-term del prossimo novembre.

Gioca la carta delle parole: la differenza, la distanza, l’opposizione. È vero, sono diversi. Solo che certi problemi si possono risolvere solo come Bush. Lo sa anche l’Amministrazione Obama, anzi lo fa anche l’Amministrazione Obama. Ma è più brava a nasconderlo.

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