Obama sfida Pechino: incontrerà il Dalai Lama

Barack Obama come Cassius Clay: ronza attorno all’avversario, mima un gancio destro, poi colpisce con il sinistro, fa finta di abbassare la guardia, sperando che l’altro carichi prepotentemente. Quel che ancora non si sa è se possieda davvero il colpo del ko. L’avversario è la Cina, che fino a oggi non è riuscita a prendere le misure al presidente americano e reagisce in modo scomposto o prevedibile. Insomma, non riesce ancora a «leggere» la nuova strategia della Casa Bianca e, dunque, nemmeno ad adottare le adeguate contromisure. L’ultimo episodio conferma l’imbarazzo di Pechino. Ieri la Casa Bianca ha annunciato che Obama riceverà il Dalai Lama quando a breve visiterà gli Stati Uniti. La conferma, giunta dopo l’annuncio di un probabile ed eventuale incontro, è arrivata nonostante le minacce di Pechino. La Cina aveva infatti già reagito furiosamente all’ipotesi di una stretta di mano: il portavoce del Partito comunista Zhu Weiqun ha avvertito che l’iniziativa «minerebbe seriamente le fondamenta delle relazioni tra i due Paesi», e che Pechino «prenderebbe provvedimenti di pari valore per dimostrare al governo americano la portata del proprio errore».
A quali provvedimenti si riferisca, Zhu non lo dice. Ma il tono intimidatorio - e un po’ mafioso - del messaggio, lo rende diverso da quelli lanciati nel passato contro altri leader occidentali intenzionati a vedere il Dalai Lama. Il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel furono minacciati di sanzioni e alcune aziende francesi e tedesche persero contratti importanti in Cina, ma poi tutto tornò alla normalità. Nel 2007, il governo alzò la voce contro George W. Bush e quando questi presenziò alla consegna al leader tibetano della massima onorificenza del Congresso americano, Pechino bollò l’evento come una farsa. E i rapporti non peggiorarono.
Questa volta invece la Cina minaccia di «cambiare tutto». E non è difficile capire perché. La polemica innescata da Google, che qualche settimana fa si è ribellato alla censura cinese, non era fine a se stessa, ma segnava l’inizio della nuova strategia americana. Da allora, Hillary Clinton ha annunciato un’iniziativa per permettere a tutti i cittadini del mondo, «e soprattutto quelli oppressi», di navigare liberamente in Internet. È chiaro a tutti che il primo Paese destinatario di questa nuova politica sia proprio la Cina. Un’altra iniziativa risale allo scorso week-end, quando Washington ha annunciato la vendita di armi e di missili a Taiwan. La visita del Dalai Lama rappresenta la quarta sconfitta per il governo cinese che, avendo avuto conferma delle intenzioni americane (l’incontro dovrebbe avvenire o a fine febbraio o ai primi di maggio), ha deciso di alzare le barricate per impedire l’evento.
Era improbabile che Obama si tirasse indietro, proprio perché gli ultimi eventi rientrano in un piano coordinato, nell’ambito del quale evidentemente Washington ha previsto le possibili reazioni cinesi. Il sospetto è che l’America voglia che Pechino perda le staffe, così come per tutto il 2009 le ha lasciato credere di essere una superpotenza ormai in disarmo. Il presidente americano, peraltro, non poteva evitare l’incontro. L’anno scorso rinunciò a stringere la mano al Dalai Lama e fu sommerso dalle critiche, sia da destra sia da sinistra. Oggi, il fatto di aver ricevuto un Nobel per la Pace gli offre un alibi formidabile: come avrebbe potuto rifiutare di incontrare un altro premiato?
A questo punto o davvero Pechino possiede un’arma di ricatto fenomenale e imprevista, oppure si profila un periodo di crescenti tensioni tra i due Paesi. Ovvero di nuove provocazioni americane. L’unica opzione esclusa è quella militare. Per il resto gli Stati Uniti stanno applicando le tecniche della guerra non convenzionale e asimmetrica, che furono delineate una decina d’anni fa proprio da due studiosi cinesi nel saggio «Guerra senza limiti». E dunque punteranno a esasperare le difficoltà latenti della società cinese, come l’oppressione delle minoranze, tibetane ma anche musulmane, degli uiguri; enfatizzeranno le violazioni dei diritti umani, su cui da tempo chiudono gli occhi; tenteranno di dare forza alle tante rivolte dei diseredati cinesi.
L’obiettivo finale è la crisi finanziaria.

L’America è persuasa che l’economia cinese sia in piena bolla finanziaria ed economica, provocata dalle manipolazioni del cambio. E farà di tutto affinché lo scoppio della bolla provochi la caduta del regime comunista o la disgregazione della Cina. Come già avvenne con l’Urss.
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