Economia

Obama, stretta ai paradisi fiscali

L’obiettivo: riportare nelle casse federali 210 miliardi di dollari in 10 anni. Come centrarlo: con una profonda riforma del sistema fiscale Usa focalizzata soprattutto sulla lotta ai paradisi fiscali. Nella sua azione di rinnovamento dell’economia, Barack Obama è pronto ora a colpire «lobbisti e rappresentanti di interessi particolari» che in tutti questi anni hanno sfruttato una legislazione grazie alla quale è stato loro consentito di sottrarre al Fisco americano centinaia di miliardi.
«Ci vorrà tempo per rimediare a questi danni», ha spiegato ieri il presidente Usa nell’illustrare come intende voltare pagina. Il provvedimento, che dovrà essere approvato dal Congresso, ha due capisaldi: da un lato, verranno abolite alcune detrazioni fiscali sugli utili realizzati dalle imprese in Paesi dove il livello della pressione fiscale è molto basso. In pratica verrebbe meno la possibilità di rinviare il pagamento di imposte su utili realizzati in questi Paesi esteri fino a quando questi utili non vengono rimpatriati, cosa che, di fatto, accade ora molto raramente. Inoltre, non potranno essere effettuate detrazioni sulle tasse che si pagano negli Usa per le spese sostenute in paesi esteri. Dall’altro farebbe ricadere sotto la violazione delle normative tributarie l’utilizzo di paradisi fiscali come le Isole Cayman o le Bahamas da parte di tutti i cittadini Usa che negli ultimi anni, secondo i calcoli del Wall Street Journal, avrebbe permesso alle aziende statunitensi di accumulare depositi per 700 miliardi.
Gli esperti ritengono che il nuovo regime fiscale proposto da Obama riporterà nelle casse dell’Erario circa 86,5 miliardi tra il 2011 e il 2019. Ma il governo sta anche considerando misure che limitino molte delle deduzioni che usano le imprese Usa per differire il pagamento degli utili esteri - da cui il governo americano pensa di poter riscuotere 60,1 miliardi - così come i crediti fiscali esteri abusivi che potrebbero riportare nelle casse statali 43 miliardi.
Dieci sarebbero invece i miliardi di cui hanno bisogno Citigroup e Bank of America, fortemente sospettate di non aver superato gli stress test cui sono state sottoposte assieme ad altre 17 banche Usa. Bofa ha tuttavia negato l’esistenza di un piano per raccogliere mezzi freschi, mentre Citi ha precisato che, se sarà il caso, chiederà il sostegno di investitori privati. Contrariamente ai tempi prospettati dalla Fed, i risultati delle prove sotto sforzo non sono stati comunicati ieri, ma si conosceranno giovedì prossimo. Ciò non ha impedito alle Borse di continuare a correre grazie alle buone notizie provenienti dal mercato immobiliare Usa (+0,3% la spesa edilizia in marzo, +3,2% i compromessi per l’acquisto di abitazioni». A fine seduta, a New York il Dow Jones è cresciuto del 2,6% e il Nasdad dell’2,5%.

Bene anche l’Europa, dove i rialzi sono stati superiori al 2% (+2,8% Milano).

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