Obama, venditore d’aria fritta (seppur di qualità)

Caro Granzotto, vuol vedere che piano piano i sinceri democratici mollano Obama? Non le sarà spero sfuggito che il discorso all’Onu del presidente americano non è stato definito, come i precedenti, «storico». Brutto segno per il messia d’oltreoceano, non le pare?

Le rispondo tanto per far due chiacchiere, caro Bentivoglio perché sa com’è, non è bello sparare sulla Croce Rossa. Qui rappresentata vuoi dall’inquilino della Casa Bianca, vuoi dalle falangi dei suoi invasati ammiratori. Pur scontrandosi, battendo la zucca contro la realtà, a differenza degli americani che non ci hanno messo né due né tre per prenderne le distanze, la sinistra nostrana è ancora prona e sedere in aria al cospetto di Obama (tenga presente che la sinistra nostrana è un po’ tonta e ci mette tempo, nelle cose). Tuttavia anche un tonto ci pensa due volte prima di seguitare a definire storico ogni discorso di Obama, e Dio solo sa quanti ne pronuncia. Per i primi, vabbé, c’era il delirio, l’eccitazione per la comparsa dell’Uomo della Svolta dalle labbra del quale necessariamente fioccavano pepite d’oro zecchino. Per cui anche un suo «Buonasera» diventava un pezzo di storia. Ma senza mettere in conto che poi la storia andava per conto suo, senza farsi influenzare dalle chiacchiere di Obama, dai e dai anche il più esaltato seguace di Superbarack ha finito per averne abbastanza di aria fritta. Oh, intendiamoci, aria di prima qualità e fritta molto bene, con grande charme e padronanza della scena. Ma così come la panna montata, che in piccole dosi risulta gradita, se propinata a mastellate anche l’aria fritta alla fine stucca. All’Onu Obama s’è limitato a sgranare il rosario del politicamente corretto, il disarmo universale, la nuova era che ci vedrà tutti mano nella mano, il futuro migliore, il cambiamento, il rinnovamento, il dialogamento e il confrontamento, la pace con Terra Madre, i fiori nei tubi di scappamento delle automobili, il capitalismo compassionevole, il commercio equo e solidale, il festoso rendez vous fra culture. Quelle cose lì, insomma. Intanto, però, Guantanamo è sempre al suo posto; l’epocale riforma dell’assistenza sanitaria americana è sempre al palo; in Afghanistan piovono bombe e non sembrano mai abbastanza; i pourparlers di pace in Medio Oriente fanno ridere i polli; di rottura con la politica «neoimperialista» di Bush neanche a parlarne; idem per i provvedimenti radicali in favore dell’ambiente o semplicemente per una messa a regime del Protocollo di Kyoto. E l’impressione che sempre più si afferma è che Barack Obama resti quel gran tipo che è, l’elegante oratore, l’impareggiabile evocatore di sogni, l’uomo che solo a guardarlo ispira fiducia e simpatia. Ma che allorché si candidò alla Casa Bianca non avesse ben chiaro i limiti politici e istituzionali di un presidente.

Che pensasse, cioè, che una volta nello Studio ovale bastasse alzare il telefono ed era fatta. Una visione delle cose così ingenua, così minchiona che nemmeno Pierluigi Castagnetti, un nome a caso, ci sarebbe arrivato.

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