Calma. Rutelli non è passato al centrodestra, non ha deciso di fare perdere le elezioni politiche all'Unione, non ha deciso di fare da solo un partito di centro, che sarebbe falcidiato nella quota uninominale, non ha deciso di abbattere Prodi come candidato-premier (anche se Il Manifesto pensa che potrebbe aprirsi la strada a una candidatura di Walter Veltroni). Ha fatto un calcolo politico e uno elettorale, congiunti. Sul piano politico ha evitato che Romano Prodi, che come si è visto nel voto di venerdì conta meno di un quarto nella Margherita, gli scippasse la Margherita stessa, diventando il leader di un partito che non aveva. Sul piano elettorale, ha chiarito ieri, a La Repubblica, come stanno le cose. Ha detto: «Nel voto per le elezioni politiche avremo tre schede diverse. Per il Senato e per il 75% dei seggi per la Camera ci sarà il simbolo unitario. Nella terza scheda, quella che assegna il 25% dei voti proporzionali alla Camera, ci saranno più simboli, e questo ci consentirà di avere più voti, più seggi, più probabilità di vittoria. Dunque, una scelta per l'unità e per contribuire a vincere».
Tutta l'operazione ruota intorno al potere contrattuale che i diversi partiti, in seno all'Unione, eserciteranno per dividersi le candidature dei propri uomini nei collegi uninominali, specie in quelli più sicuri. Rutelli, non senza fondamento, pensa (sospetta) che i Ds eserciteranno in quella sede la loro «egemonia», mettendosi d'accordo con Rifondazione e soprattutto con Prodi per uscire dalle urne, essi, come il partito con un numero di parlamentari eletti nettamente più alto così da condizionare la distribuzione degli incarichi nel governo e nel sottogoverno, potenziando nello stesso tempo la pattuglia dei parlamentari prodiani a scapito dei rutelliani e mariniani. Preludio verosimile a un loro graduale assorbimento nel futuro «partito riformista» caro a Fassino e D'Alema, cui Prodi è indifferente poiché gli basta Palazzo Chigi.
Forte dei risultati che, dopo le europee, hanno premiato la Margherita, specie alle regionali e in Sicilia, Rutelli ha pensato, anche nella prospettiva di un collegamento con l'Udeur di Clemente Mastella, che la sua formazione potrebbe arrivare al 16%, alla pari dei Ds e forse anche al di sopra, ma ha deciso per la rottura perché - memore dei risultati del 2001 - non vuole che, a parità di voti, il partito di Fassino riesca ad entrare nella Camera e nel Senato con una squadra di parlamentari ben più numerosa di quella della Margherita. Solo un sostanziale equilibrio a livello di parlamentari eletti, tra Ds e Margherita, potrà garantire a Rutelli un potere politico reale e quindi una voce forte anche nel governo.
Infatti, alle politiche del 2001, mentre i Ds con il 16,6% dei voti ottennero 137 deputati, la Margherita, con il 14,5% dei voti, ottenne solo 80 deputati. La penalizzazione avvenne soprattutto nell'uninominale dove i Ds ottennero 106 deputati contro i 53 della Margherita, mentre nel proporzionale i deputati eletti furono, rispettivamente, 31 e 27. Tutta la battaglia di Rutelli si riduce perciò a riportare in equilibrio il rapporto tra voti e parlamentari eletti, ovvero ad annullare l'egemonismo del partito di Fassino che si realizza soprattutto sulla parte uninominale.
Il «sogno» di «far nascere un vero, grande partito democratico», simile al Partito democratico americano o al Partito laburista britannico è, appunto, un sogno, che potrà realizzarsi o no, ma che non ha niente a che vedere con la decisione di Rutelli di presentare il simbolo della Margherita in modo autonomo alle prossime politiche per la quota proporzionale.
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