La campagna elettorale del centrodestra del 2006 sarà certamente diversa da quella delle precedenti elezioni, perché essa avverrà non dall'opposizione e quindi con la prospettiva di una alternativa da realizzarsi, ma dopo un periodo di governo e con una esperienza compiuta. In questo modo essa diviene più politica nel senso tradizionale del termine e quindi chiede una diversa gestione. Il «tridente» elimina il fattore più negativo che ha caratterizzato l'esperienza di governo, cioè la volontà dei partiti alleati di differenziarsi da Berlusconi più di quanto non si differenziassero dalla sinistra. L'antiberlusconismo più negativo è stato quello nato all'interno della coalizione, che ha agito proprio sul fattore più importante della maggioranza, quello di essere conosciuta da un popolo come la propria rappresentante e la propria garanzia. Inoltre la polemica della sinistra si è concentrata tutta sulla figura di Berlusconi e l'antiberlusconismo è diventato il collante di una coalizione che va da Bertinotti a Pannella.
Il tridente obbligherà Udc ed An a trovare una propria identità che li definisca indipendentemente dalla loro posizione verso Berlusconi e li contrapponga ai partiti della sinistra con motivazioni proprie. È difficile trovare sinora nelle argomentazioni di Fini e Casini delle motivazioni che fondino l'unità della coalizione e la sua alternativa a quella diretta dai Ds. E la sinistra d'altro lato sarà costretta a trovare negli altri leader di centrodestra le ragioni negative che sinora si sono tutte concentrate sul solo Berlusconi. Così, curiosamente, dopo aver tanto insistito sul partito unico, il centrodestra ha compreso che occorreva esaltare le proprie differenze e che il solo riconoscimento di esse era la base possibile per fondare la propria unità. Ma questo obbligherà anche Forza Italia a definire la propria differenza di partito liberale, nazionale e popolare e di mostrare come le politiche di riforma, portano tutte il nome di ministri di Forza Italia e hanno la caratteristica di evitare la chiusura autarchica dell'Italia in un sistema autoreferenziale di ideologie politiche e di protezioni sociali, ma di renderla competitiva nella società della globalizzazione. Non è un caso che, nel conflitto che oppone i valligiani della Val di Susa alla Tav, la sinistra abbia assunto una posizione pilatesca perché essa ha fatto del concetto di assumere i localismi come mezzo di consenso elettorale la propria politica. E lo ha fatto in Piemonte come in Campania, dove ha sostenuto la lotta localistica contro gli inceneritori, giungendo al paradosso che i rifiuti pubblici della Campania vengono inviati a spese dello Stato in Germania e che la camorra tragga beneficio dalla opposizione all'inceneritore e dalla raccolta dei rifiuti. Il localismo si nutre di illegalità e non è un caso che, come il ministro degli Interni ha denunciato, gli anarcoinsurrezionalisti abbiano fatto la loro apparizione in Val di Susa. L'occupazione del suolo pubblico per ogni vertenza sociale e locale difficile è una prassi italiana della sinistra sindacale o politica: e da questa illegalità coltivata si delinea una certa forma di diritto all'insurrezione che nasce dal radicamento storico del mito rivoluzionario della società italiana, a causa dei due soggetti storici del comunismo, il Pci e il '68.
Il governo Berlusconi si è trovato ad agire contro questa realtà nella sua lotta per la modernizzazione del sistema. E sempre il partito intellettuale guidato dalla sinistra ha lottato contro la modernizzazione: dall'art. 18, alla legge Biagi e alla legge Moratti. Chi non ricorda le dure parole di Cofferati contro la legge Biagi, considerate da Marco Biagi stesso la causa scatenante del clima che condusse al suo assassinio da parte delle Brigate rosse? Forza Italia è dunque un partito liberale, nazionale e popolare che difende l'intervento pubblico per la modernità e per la qualifica delle scelte degli individui: cioè il tipo di Stato che viene dopo lo Stato sociale del Novecento, sia nella sua forma autoritaria che democristiana e socialdemocratica. Se non amassimo il termine di «rivoluzione culturale», dovremmo dire che il partito di Berlusconi ha introdotto la cultura alternativa in Italia a quella democristiana e comunista dello Stato provvidenza per tutti, resa impossibile dal movimento della storia.
La campagna elettorale deve mettere in luce, non solo la figura di Berlusconi, ma quella di Forza Italia, cioè del partito del popolo che ha creduto in lui e vuole continuare a sperare nella vittoria del centrodestra per avere speranze per l'Italia.
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