Obiettivo su orrore e vita quotidiana

Obiettivo su orrore e vita quotidiana

Un uomo e una donna, diversi per età, background e ispirazione, raccontano il medesimo tema, la seconda guerra mondiale dallo sbarco in Normandia all’arrivo a Berlino, tra vita quotidiana e prima linea, attraverso percorsi che talvolta si sono sfiorati senza mai toccarsi. È alle Scuderie del Quirinale, che, fino al 30 agosto, Lee Miller e Tony Vaccaro, idealmente si incontrano e confrontano per la prima volta nella mostra «Scatti di Guerra», curata da Marco Delogu e Umberto Gentiloni, che punta proprio sulla diversità di «obiettivi», proponendo circa cento scatti dei due artisti in esposizioni parallele. Nata a New York nel 1907 e morta a settant’anni, Lee Miller, corrispondente dell’esercito degli Stati Uniti per Condé Nast dal 1942, è stata l’unica donna a seguire come fotografa le truppe in Normandia. Tony Vaccaro, più giovane - è nato nel ’22 - all’epoca era un soldato protagonista di quegli avvenimenti nella duplice veste di chi sta dietro e davanti all’obiettivo. «Lee era forte e determinata, come donna e artista - dice Ami Bouhassane, curatrice della Fondazione Miller e nipote della fotografa -. Per curiosità e sensibilità femminile ha puntato l’attenzione sulla gente comune, in cui si identificava». Nei suoi scatti villaggi distrutti si alternano a bimbi che si arrampicano sulle jeep dei militari per la cioccolata. Una «pausa» a Parigi, tra lo studio di Picasso e modelle in attesa di sfilare, diventa il paragone necessario a evidenziare l’assurdità di cadaveri accatastati come legna, fino alla «sintesi» rappresentata dalla stessa Miller nel bagno di Hitler, moderna Venere in un universo di orrori. Vaccaro racconta la guerra in prima linea e prima persona. La violenza, vicina e costante, diventa, per paradosso, lontana attraverso il «filtro» della macchina fotografica che pare trasformare l’uomo in concetto, la morte in monito. Dall’ultima messa durante l’addestramento alla prima «veduta» di guerra è un susseguirsi di armi - emblematico il prigioniero tedesco che disinnesca una mina - violenza e cadaveri, trasformati in «monumenti». Pare un dipinto «Morte bianca» con il corpo di un soldato quasi coperto dalla neve, più simile a una macchia di colore su tela che a un essere umano.

Ricorda una scultura, con rimandi a Rodin, «Il ritorno», dove un uomo si ripiega su se stesso, schiacciato tra un passato da dimenticare e un futuro da costruire. Poi la gioia della fine del conflitto con il «Bacio della liberazione» dato da un soldato a una bambina. La mostra è accompagnata dalla rassegna «Fronte del Cinema», sui film di guerra.

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