Odio l’«Isola», perciò la guardo sempre

Chi non guarda L’Isola dei famosi scagli il primo telecomando. E intanto si rifletta sui tanti commenti pre e post, per esempio: «Ma chi c’è in nomination?». «Aldo Busi e altri due». «Chi sono gli altri due?» «Boh, due». «Famosi o non famosi?». «Famosi». «Cioè?». «Due famosi, non so dirti chi siano». La famosità è come i readymade di Duchamp, a funzionamento tautologico: si è famosi perché si è etichettati famosi, non si sa bene quale sia la soglia di famosità necessaria a esserlo, esserlo stati, non esserlo più. Comunque sia, famosi e non famosi rappresentano la nuova lotta di classe e di status, hanno sostituito gli «uomini e no» di Elio Vittorini e la contrapposizione tra capitalista e proletario di Karl Marx. I non famosi, chiamati Nip (contrario di Very Important Person, ossia Ncc, Non Conti un Cazzo, e varrebbe perfino per un dirigente della Andersen Consulting che non vada in televisione), sono confinati su un’isola a parte, e parlano dei famosi come se fossero divi e divinità dell’Olimpo («Chissà se ci rivolgeranno la parola»). Questo prima di vederli in carne e ossa e scoprire che anche la fama ha fame come chiunque altro. Pertanto basta poco e anche i non famosi si accorgono che i famosi sono esseri mediatici e medi e stronzetti quanto loro, e l’aura svanisce, a parte Aura Lorenzetti, modella attrice showgirl sconosciutissima, quindi quasi famosa, di certo tanto quanto Federico Mastrostefano o Simone Rugiati, che ancora non so bene chi siano.
Tuttavia, poiché, appunto, non si è più famosi per qualcosa ma solo perché si riesce a stare in televisione un tot di tempo, la lotta di classe si gioca sulla Resistenza, e allora dopo due settimane molti mutanti non famosi sono più famosi dei famosi, già mutati e ormai lontani da voi semplici telespettatori che da casa non siete neppure non-famosi, e se vi capitasse a portata di mano e di penna dovreste chiedere l’autografo perfino al bidello Carlo Capponi, ormai famosissimo.
Intanto Busi, che pensava di fare lezioni di letteratura e attaccare la religione, si accorge di non essere per niente autorevole («ma che vo’ quello?»). Nessuno che abbia letto mezzo suo romanzo neppure dei non fondamentali, lo conoscono come personaggio televisivo, tanto valeva essere Platinette. Tra parentesi l’unica a riconoscere Busi e a trattarlo come un genio è la ventenne giornalista non famosa Silvia Zanchi, ricambiata dallo scrittore famoso che la definisce «un raggio di luce», e lei, tenerissima, torna tra i non famosi tutta impettita e sdilinquita e fiera della medaglia al valore ricevuta («me la incornicio nella mente»), ricevuta da «la più grande mente italiana viva», mutazione mnemonica e variante casareccia del mantra busiano «sono il più grande scrittore italiano vivente».
Io li odio, per questo li guardo, e che meraviglia, quando li hanno buttati dall’elicottero dall’altezza di dieci metri in mezzo metro d’acqua, e di qua, dalla Ventura (caduta anche lei da dieci centimetri, sui propri tacchi) grande preoccupazione, e al contrario ancora più nell’al di qua delle case italiane, il pubblico sovrano avrà goduto non poco, l’audience è andata su mentre loro andavano giù, fico. Il vero pubblico è come il pubblico degli antichi romani al Colosseo, è come quando, ai primordi delle isole dei famosi, la contessina Giada De Blanck si tagliò la gamba, e strillava, e piangeva, e la telecamera zoomava sullo squarcio, all’epoca ho capito che forse c’era una speranza. Chissà come si sganasciano alle famose cene romane organizzate da Giusi Sorvillo, mia adorabile editor della Newton Compton, dalla quale ci si riunisce per guardare e commentare l’isola, lei che ormai ha fatto l’outing e quindi si bivacca ogni mercoledì, chissà che spumantini stappati per ogni azzoppato. Speriamo che la prossima edizione li buttino direttamente sull’isola, speriamo che seminino chiodi nella sabbia e mine antifamosi e coccodrilli sotto le mangrovie, e come Highlander ne resterà solo uno, o forse nessuno, altro che televoto del «pubblico sovrano», e altro che cene, se continua così da Giusi compriamo anche i fuochi d’artificio noi del pubblico sovrano. Ah, il «pubblico sovrano», geniale invenzione di Simona Maria Antonietta Ventura, lezione imparata anche dalla D’Urso e dalla Clerici. Tradotto in soldoni: manca il pane? Diamogli le brioches del televoto. Mirabilissima trovata, ci si inventa che lo spettatore è il «popolo sovrano», al quale, dopo il canone, chiedere anche un euro di televoto per decidere di chi liberarsi (e mettono anche lo stop di massimo cinque televotate, vale a dire possiamo abusare di te ma con moderazione, più etici di Wanna Marchi, perché la Rai è di tutto di più). Invece se il popolo fosse davvero sovrano ci darebbero telecomandi collegati ai satelliti della Cia collegati a appositi droni muniti di missili neppure troppo intelligenti, male che vada con un raid aereo becchi il famoso della tenda accanto e fuori un altro ugualmente.
Meno male c’è Davide Di Porto, il personal trainer coatto, lui è l’eroe dei due mondi, delle due isole, è Davide contro il Golia del club radical chic o radical shit dei famosi e dei non famosi che lo trattano come scemo del villaggio perché gonfia i muscoli e sembra non pensare nulla e invece pensa più di loro perché lui è se stesso e lo sa e gli altri sono come lui e lo schifano. Con Davide se l’è presa anche Aldo Busi, volendolo espellere come corpo estraneo ancorché anabolizzato perché «la produzione mi ha detto che tu sei ospite non famoso tra noi famosi», sentendosi, Busi, non più il più grande eccetera vivente ma accomunato nel club «famosi» come fosse il Rotary (e che triste essere il più grande eccetera vivente per sentirsi dire dal tronista Federico «Ma parla come mangi e gioca a tennis con un amico anziché scrivere libri», l’hai voluto il reality, e quindi zitto e pedala).

E ecco che il piccolo grande Davide, di solito taciturno, risponde a Busi «io non sono un vostro ospite» ribellandosi al classismo, all’ipocrisia, alla spocchia della convivenza del nulla, e se anziché lo snob Aldo Busi sull’Isola dei famosi ci fosse stato Benedetto Croce, ai naufraghi dell’intelligenza il filosofo avrebbe detto «Non possiamo non dirci davidiani». In compenso Busi ha già fatto bella figura alla prima puntata, ricordato le vittime (non famose) del terremoto di Haiti, perché le catastrofi capitano sempre nei posti sbagliati.

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