Oggi da Amsterdam via al Giro: l’unico vero reality della fatica

La carovana rosa parte dall’Olanda, tempio delle biciclette, in cerca dell’edizione perfetta. Non mancheranno salite e sofferenze, serve solo un vincitore a prova di antidoping: l’australiano Evans è il maggior candidato. Oggi la crono

Oggi da Amsterdam via al Giro: 
l’unico vero reality della fatica

Amsterdam - Il cielo è tetro, ma forse persino questo va letto come un omaggio di Amsterdam al Giro: è nero come la gloriosa maglia di Malabrocca, il più grande degli ultimi. Tutto il resto è rosa. Rosa le panchine, rosa le biciclette, rosa i tram e rosa le vetrine. È sempre singolare che un Giro d’Italia parta lontanissimo dall’Italia, ma il famolo strano risulta meno strano se la partenza è Amsterdam. Questa, a tutti gli effetti, è la terra promessa della bicicletta. I suoi numeri sono una sinfonia per ambientalisti, salutisti, ecologisti. Con 800mila abitanti, un milione e mezzo le biciclette. Le piste ciclabili, che da noi mediamente vengono usate come comodi parcheggi per scarico-merci e per signore in trance da shopping, qui sono 400 chilometri e soprattutto sono una riserva inviolabile (diciamo la verità: i ciclisti comandano pure troppo, fino al punto d’essere anche pericolosi). Un altro numero molto rosa: 140 i negozi di biciclette. Ma soprattutto la statistica più seria: il 55 per cento degli spostamenti cittadini avviene in bici (sì, proprio come a Milano, Roma e Napoli).
Nella città perfetta, il Giro cerca finalmente un’edizione perfetta. Non serve molto: un ordine d’arrivo finalmente sicuro, indiscutibile, indistruttibile. A prova di qualunque antidoping. In fondo, la sfida vera è questa. Ricostruire una reputazione, dopo gli immani sforzi di giustizia e di pulizia portati avanti in questi anni. Serve un vincitore dal volto lindo, serve un podio che non abbassi lo sguardo.

C’è qualcuno che può assumersi questo ruolo? Bisogna cercarlo. Sarà assente Contador, il nuovo superasso che il Giro l’ha vinto al primo tentativo (2008) e che qui tornerà l’anno prossimo (prima deve regolare un conto personale al Tour con il suo ex capitano, nonchè crudele aguzzino, Lance Armstrong). Ma anche senza Contador un vincitore pre-annunciato c’è: australiano, cresciuto in Italia, campione del mondo, si chiama Cadel Evans. Fortissimo a cronometro, resistente in montagna, ha tutto quello che serve. Personalmente, sono più curioso di vedere come riuscirà a perderlo che a vincerlo, questo Giro, perché davvero la vittoria sarebbe molto meno sorprendente.

Il resto della storia è velocemente raccontata. Non c’è molto da ricamare. Contro il campione del mondo, si schiera un’armata straniera, capitanata dallo spagnolo Sastre, dal kazako Vinokourov, dall’inglese Wiggins, ma sperabilmente anche qualche temerario italiano. Il primo nome che viene in mente è quello di Basso, il grande redivivo, nonostante l’avvicinamento all’impegno non sia esattamente costellato di risultati incoraggianti. Con lui, nella stessa squadra, l’alternativa Nibali, giovane, siculo, l’anno scorso autore di un buon Tour, ormai atteso ad una risposta definitiva. Ha un’attenuante: doveva correre solo il Tour, l’hanno reclutato in fretta e furia per sostituire il silurato Pellizotti. Però attenzione: alle volte, le storie più belle del ciclismo sono nate proprio per caso. E già che ci siamo, il curioso filone dei terruncielli prestati alla bicicletta segnala anche la storia bella del lucano Pozzovivo, scalatore di classe limpida, cinquanta chili d’uomo, però con cervello robusto (freschissimo di laurea in economia aziendale): se i venti furibondi dell’Olanda non lo spazzano via, sulle montagne concederà show.

Poi Cunego e Simoni, poi Scarponi e Garzelli, poi Pozzato per le tappe e Petacchi per gli sprint. Tornano cioè tutte le facce amiche del mese di maggio, che giorno dopo giorno entrano nelle case degli italiani e lentamente prendono alloggio fisso, fino a quando ci si accorge, dopo l’ultima domenica, quanto vuoto e quanta malinconia lascino già dal primo lunedì.

Buon divertimento a tutti. Ci sono reality di avventura e di resistenza abilmente costruiti in laboratorio, con sopravvissute e superuomini che si sfidano a chi cede per ultimo nelle scomodità di spiagge esotiche. Da quest’oggi, ne comincia uno tutto vero e molto estremo, senza copioni e senza sfide artificiali. Reality reale. Lo dico spassionatamente, senza nessuna deviazione patriottica, sfidando chiunque a sostenere il contrario: il Giro d'Italia 2010 è il vero, unico, inimitabile campionato del mondo di fatica. A decidere chi buttar fuori e chi far vincere non sarà il televoto, ma un percorso crudele e spietato.

Lasciate da parte le perverse stramberie dell’anno scorso, con la salita più dura piazzata nelle Marche, stavolta il patron Zomegnan è tornato pesantemente sul tradizionale, riproponendo uno dopo l’altro tutti i mitici calvari d’Italia, dallo Zoncolan al Gavia, da Plan de Corones al magnifico Mortirolo, la boutique di tutte le salite. Il Tour può avere più soldi, più efficienza, più grandeur. Ma il superlativo assoluto della sofferenza spetta al Giro.

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