«Oggi mi sento tranquillo, la mia fu legittima difesa»

Giovanni Petrali: «Accadde tutto in pochi attimi, non ebbi il tempo per ragionare»

Enrico Lagattolla

«È stato un attimo, ma in quell’attimo non c’è tempo per ragionare. È accaduto così». Giovanni Petrali, tre anni dopo. Dopo quel 17 maggio che ha cambiato la sua vita, dopo quei colpi esplosi, «io ho sempre pensato che in casa mia un’arma non sarebbe mai entrata, ma cosa vuole, dopo due rapine, dopo che ti senti minacciato, le cose cambiano», si dice ancora «tranquillo». Nonostante il giudice l’abbia mandato a processo, e nonostante quelle accuse, omicidio volontario e tentato omicidio, che pesano sul suo futuro. «Sono fiducioso - ripete -, io ho agito per difendermi». E a raccontarlo, quel giorno, non sembra così lontano. Anche perché «se ci penso, mi viene ancora la pelle d’oca».
«È accaduto così. I due rapinatori sono entrati, poi è successo tutto in pochi secondi». Giovanni Petrali è dietro al bancone, davanti alla cassa. Andrea Solaro, uno dei due banditi, è davanti a lui. Estrae un’arma, lo minaccia. «Era una pistola a tamburo, lo ricordo perché l’ho guardata temendo che potesse scattare da un momento all’altro».
Alfredo Merlino, invece, gli va accanto, gli urla contro. «“Bastardo”, mi ha gridato. Mi ha chiesto di dargli i soldi e la chiave della cassaforte. Io ho risposto che non l’avevo». Il momento peggiore, forse.
Perché a quel punto Merlino «mi ha dato un pugno, mi ha fatto cadere gli occhiali. Poi ha detto al suo complice “dai, sparagli, ammazzalo!”, e lì ho pensato che tutto fosse finito. Ho pensato alla mia vita, alla mia famiglia, al mio lavoro. “È finita”».
Ma accade qualcosa. Mentre Merlino intasca le banconote, Solaro guarda il ragazzo dietro al bancone del bar. «Aveva le mani alzate. Se qualcuno fosse passato in strada in quel momento, si sarebbe accorto di certo che era in corso una rapina. Allora si è voltato verso di lui e gli ha gridato di abbassare le braccia. Si è distratto, e in quel momento ho preso in mano la pistola. E ho sparato».
Non l’ha deciso, dice. E non dice che lo rifarebbe. «È stato un istante, in cui non c’è tempo per ragionare. È come avere la nebbia davanti agli occhi, vedevo solo delle ombre. Ho sparato un primo colpo, il vetro davanti alla cassa è saltato. Il complice, che era accanto a me, a qual punto, è scappato. Ma lo ha fatto andando incontro alla traiettoria dei proiettili. Così è stato colpito».
Ancora.

«Sapevo che non dovevo andare in strada con la pistola, ma non ho sparato fuori dal bar, né alle spalle di nessuno». Ed è su questo dettaglio che si gioca il destino di Giovanni Petrali. Tra sette mesi, in un’aula di tribunale.

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